Libia: a Sirte 5000 jihadisti, fuga di massa dall’Isis

 

SIRTE

Una città sotto scacco. Così viene descritta Sirte dagli abitanti che l’hanno lasciata dopo l’arrivo dei miliziani del sedicente Stato islamico (Is). Da allora – raccontano testimoni ad Aki-Adnkronos International – la situazione nella città nel nord della Libia è andata progressivamente peggiorando: i servizi hanno smesso di funzionare, le banche sono state chiuse, i generi di prima necessità hanno iniziato a scarseggiare e gli abitanti sono stati costretti a pagare una tassa sull’elettricità e sull’acqua, che prima erano erogati gratuitamente.

“Abbiamo preso le nostre cose e ce ne siamo andati, non avevamo mai pensato prima di allora di lasciare la città”, dichiara M. al-Warafli, uno dei tanti che se ne è andato dopo che la città è finita in mano ai jihadisti.

Si contano a migliaia le famiglie fuggite dalle aree sotto il controllo dell’Is, come Sirte ed Abu Qarin, dove i seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi hanno eretto dei podi per le crocifissioni, proprio davanti alla sede della procura.

crocifissioni

Stando ai dati ufficiali, la sola città di Tarhouna ha accolto più di 3mila famiglie di sfollati, mentre a Bani Walid ne sono arrivate più di 2.200. Ora in questa città la situazione è satura: “Bani Walid non può accogliere altri sfollati poiché non vi sono più case libere, mancano i mezzi e le strutture sanitarie sono sufficienti e inadeguate”, spiega ad Aki il presidente del Consiglio municipale , Ali al-Naqarat.

Analoga è la situazione a Misurata, che solo negli ultimi giorni ha accolto 200 famiglie arrivate da Abu Qarin, al-Washka e Sirte, portando a 1.494 i nuclei familiari arrivati in città nel giro di un anno, come sottolinea il capo dell’ufficio stampa dell’Ente pubblico per gli affari sociali, Jamal Shanshih.

Quanto a Zliten, si contano 382 famiglie provenienti da Sirte: “La maggior parte delle famiglie sfollate risiede presso parenti, altre si sono procurate una casa per conto proprio”, afferma il direttore dell’ufficio Affari sociali in città, Muhammad Oraybi. Anche nell’est, a Tobruk, si contano 139 famiglie sfollate, come riferisce un membro dell’unità di crisi locale, Fathi al-Sharif.

Quando hanno deciso la fuga, M. al-Warafli e la sua famiglia si sono diretti a Bani Walid: “Abbiamo preso le nostre cose e anche qualche mobile e ci siamo diretti verso l’ingresso occidentale di Sirte, dove abbiamo trovato i miliziani dell’Is che confiscavano i mobili di chi transitava” e pretendevano un “permesso d’uscita rilasciato dalla hisba”, ossia la polizia religiosa, racconta il testimone.

Alla fine, al-Warafli e la sua famiglia, composta da dieci persone, sono riusciti a fuggire, ma per chi è rimasto la situazione è molto difficile: “Di recente l’Is ha imposto una tassa sull’elettricità e sull’acqua di 150 dinari al mese, pari a circa 590 dollari, e vende i capi di bestiame che preleva nelle fattorie di chi se n’è andato”, prosegue.

Anche le attività commerciali e i servizi sono in uno stato di paralisi: “Le banche sono chiuse, gli impiegati pubblici sono vessati, nei negozi c’è carenza di generi alimentari, che entrano solo di contrabbando e questo comporta un aumento dei prezzi, mentre il 90% del personale medico ha lasciato la città e gli ospedali non funzionano quasi più”, spiega ancora al-Warafli.

Di recente, poi, l’Is “ha organizzato dei cosiddetti ‘corsi di formazione’, che in realtà sono sessioni per diffondere la loro ideologia cui la gente è obbligata a partecipare tutti i giorni dalle 16 alle 18”, tanto che qualcuno ha sollevato l’ipotesi che in quelle due ore i jihadisti “svolgano attività sospette”, come “minare alcune zone”, afferma il testimone.

Nonostante tutto questo “l’Is è debole”, anche se “sfrutta il metodo dello choc e della sorpresa” per esercitare il suo controllo, dichiara ad Aki A. S., anch’egli fuggito da Sirte, città che diede i natali al defunto rais Muammar Gheddafi. “All’inizio erano pochi, li conoscevamo per nome e cognome ma si spostavano da un luogo all’altro per far credere di essere in tanti. Oggi – precisa – sono circa 5mila”.

“In un primo tempo, i miliziani dell’Is si comportavano bene, con un’affabilità artificiale, poi sono cambiati, mano a mano che rafforzavano il controllo sulla città”, continua A. S., che oggi vive a Bani Walid.

“La maggior parte degli elementi dell’Is non sono libici, ma si tratta di tunisini, sudanesi, siriani, yemeniti, iracheni e qualche algerino”, rivela il testimone, secondo cui l’Is “riceve un forte sostegno esterno e al porto di Sirte arrivano moderne vetture fuoristrada, armi e altri veicoli”. Per A. S. l’Is non ha bisogno di vendere bestiame per finanziare le sue attività, come ha riferito invece al-Warafli. “L’Is ha dimostrato di recente di trattare con dollari Usa emessi nel 2015 e 2016”, conclude. ADNKRONOS

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