Armi in vendita sui social ma la postale è impegnata con i “razzisti”

 

Le armi più vendute sono pistole e fucili. Un Kalashnikov costa in media 1.800 dinari (1.300 dollari), ma non mancano anche mitragliatrici pesanti, per 8.125 dinari libici (5.900 dollari), e un sistema anti-aerei, venduti per 85.000 dinari (62.000 dollari). (askanews)

kalashnikovFacebook e gli altri social network sono diventati il principale ‘mercato’ in cui le milizie attive in Libia comprano le loro armi. E’ quanto emerge da una ricerca dello ‘Small Arms Survey’ e dell”Armament Research Services’ (Ares). Secondo lo studio, gli scambi avvengono su gruppi chiusi su Facebook e Whatsapp , ma anche su Instagram e Telegram.

Gran parte dello shopping online di armamenti è fatto dalle milizie e da altri gruppi armati libici, che usano i social media anche per piazzare armi che, per vari motivi, non possono tenere o usare. In generale, secondo lo studio, tutto il mercato nero delle armi, oltre a quello online, è cresciuto in modo esponenziale in Libia dalla caduta del colonnello Muammar Gheddafi nel 2011.

La diffusione del web ha enormemente favorito il fenomeno, tanto che sia Facebook che Instagram hanno cercato di correre ai ripari, raddoppiando gli sforzi per tracciare e cancellare dalle loro piattaforme le comunicazioni per la compravendita di armi tra privati. (adnkronos)

Nel frattempo la polizia postale è impegnata contro il “razzismo”.

CORRIERE DI RAGUSA –  Presunti a sfondo razziale  condivisi su Facebook sono costati ad alcuni modicani (e non solo) una denuncia penale da parte della polizia postale di Ragusa. I fatti risalgono al 2014. Tutti i soggetti denunciati sono già stati convocati in procura ed invitati ad eleggere il rispettivo domicilio e a nominare i difensori di fiducia. Si tratta di almeno una ventina di utenti, per la maggior parte residenti a Modica, deferiti alla procura per il reato penale di istigazione all’odio razziale, secondo quanto previsto dalla legge 205 del 1993.

Quando la polizia postale di Ragusa ha informato i diretti interessati della denuncia penale a loro carico, questi ultimi ci sono rimasti di sale, giustificandosi asserendo che gli epiteti scritti su Facebook in riferimento al post condiviso, erano stati già «sdoganati» in passato, persino da qualche politico, anche su Twitter. Spiegazioni che non hanno persuaso la polizia postale. Ai denunciati quindi non è rimasto altro da fare che rivolgersi ai rispettivi legali, tra cui l’avvocato Michele Ragusa, il quale sta esaminando il caso per studiare il da farsi e capire come procedere.

Ma non è tutto. Mentre si da’ la caccia ai presunti razzisti, Pedofilia: abusi su neonati, urla agghiaccianti. L’archivio è ancora online