Buttarla in caciara. E’ la motivazione che ha spinto Gianni Tonelli a declinare l’invito del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che ha convocato questa sera tutti i sindacati delle Polizia al Viminale:
«E’ di palese evidenza che questo sia un semplice, banale e fin troppo manifesto tentativo finalizzato a non affrontare i problemi alla base del mio sciopero della fame che oggi è giunto al 50° giorno»
«Questa riunione pare un tentativo per intorbidire e gettare dell’altro fumo negli occhi alla comunità interna, al Paese e alla classe politica. Inoltre, l’incontro è già stato ampiamente strumentalizzato dai “consortieri” sostenitori delle politiche di palazzo, disposti ormai a digerirsi ogni cosa e messi sempre più in discussione dalle loro stesse basi di consenso”»
(AGENPARL) – Roma, 10 mar 2016 – Il dibattito innescatosi ieri alla Camera, a seguito del secondo mancamento del Segretario Generale del SAP Gianni Tonelli, avvenuto proprio sotto le finestre di Montecitorio, ha indotto la presidenza a raccogliere “da tutti gli interventi, sia la richiesta di rivolgere al Governo una sollecitazione all’incontro con Tonelli, sia il fatto di poter avere, nelle sedi proprie, attraverso gli strumenti propri, un approfondimento da parte del Governo con il Parlamento”. E’ così, infatti, e solo così, che i problemi fatti emergere dal SAP dovranno essere affrontati: strumentazione inadeguata, addestramento insufficiente, riordino truffaldino, contratto scaduto, trabocchetto degli 80 euro, indecenza degli edifici e un buco di organico di 45 mila unità nelle Forze dell’Ordine, di cui 18 mila nella Polizia.
L’apparato della sicurezza è debilitato, per cui svolgere il servizio in modo appropriato e garantire la dovuta sicurezza ai cittadini è sempre più difficile. Basti pensare ciò che è accaduto il 29 febbraio scorso a Sassari, con la rapina al caveau di un istituto di vigilanza: il personale della Questura presente, pronto ad intervenire non ha trovato né mitragliette, né giubbotti antiproiettile e nemmeno torce elettriche! I colleghi intervenuti sul posto hanno dovuto fare irruzione con la luce dei propri cellulari, alcuni col giubbotto antiproiettile, altri con l’arma lunga e solo fortunati, i primi arrivati in armeria, forse con entrambi gli equipaggiamenti.
Chi denuncia questi forti e decisivi pregiudizi all’azione dei poliziotti è colpito da una pesante repressione, condotta con mezzi e metodi scorretti ed illegittimi, a suon di punizioni, sospensioni, destituzioni ed anche a colpi di denunce.
Ma c’è pure di più, visto che addirittura la gestione generale della struttura viaggia contro i principi di buona amministrazione, ossia l’imparzialità ed il buon andamento enunciati nell’articolo 97 della Carta Costituzionale. Ne è chiaro esempio, l’ennesimo, ciò che sta succedendo per l’Ispettorato del Senato: in pratica si stilano vere proprie “liste di proscrizione” sulla base di elementi pessimi quali la vicinanza o meno alla cordata imperante. Una stagione di “catilinarie” che poco si addice ad un organismo democratico come la Polizia. Del resto anche l’individuazione sofferta, e lunga ben due mesi e mezzo, del nuovo Vice Capo Vicario e la perdurante assenza del suo sostituto alla conduzione della Questura di Milano, fanno intendere quanto poco trasparente e lineare sia appunto la gestione del Dipartimento della P.S. Dominano ancora logiche di competizione fra diversi gruppi e rincorse alle poltrone fra diverse lobby interne, mentre ragione vorrebbe che l’unico soggetto da soddisfare fosse quello dei cittadini e della brava gente, quelli ch