Altro che pagliaccio! Trump ha una squadra seria ma i giornalai non lo sanno

 

trumpDAGOREPORT – I malcapitati lettori di quotidiani italiani (o dei principali siti d’informazione, Dagospia escluso) hanno letto per mesi della folle campagna di Donald Trump come di una barzelletta di cui ci saremmo tutti stancati presto. Ora abbiamo capito quanto potesse essere falsa questa analisi/speranza.

Questo purtroppo nasce dal fatto che i giornali della Penisola non hanno più i soldi, o l’interesse, per pagare dei veri corrispondenti, preferendo bravi ma stanchi giornalisti sull’orlo della pensione che passano le giornate a cliccare ”refresh” sulle home page di New York Times e Wall Street Journal.

Peccato che quando si tratta di Trump, i due giornali di solito in lotta tra loro si trovino stupendamente in sintonia. Il quotidiano liberal lo guarda con la superiorità e sufficienza tipiche della sinistra americana, mentre il rivale finanziario lo detesta per il suo lavoro di distruzione del partito repubblicano. I durissimi commenti sul candidato col riporto di Rupert Murdoch e dello sceicco Alwaleed, proprietari del giornale, non lasciano spazio a interpretazioni.

In realtà ”The Donald” ha alle spalle una squadra molto più seria e professionale di quanto scriva chi segue la sua campagna. Ha tra i suoi consiglieri dei veri esperti di politica interna ed estera, furbi businessmen come Carl Icahn, e leader locali che lo stanno aiutando nella corsa delle primarie. Certo, lui rimanda continuamente la presentazione della sua squadra, facendo sospettare molti che non ce l’abbia affatto. Non è vero, e sarebbe in teoria compito dei giornalisti scoprire chi sono e cosa pensano i suoi aides.

clintonIl problema è che i suddetti giornali hanno molti agganci dentro lo staff di Jeb Bush, Marco Rubio o Hillary Clinton, di cui ci raccontano ogni retroscena e strategia (vedi questo articolo del Times, dall’eloquente titolo “Inside the Clinton Team’s Plan to Defeat Donald Trump“), ma non riescono a penetrare il dorato mondo di Trump. Perché lui non ha bisogno di far trapelare nulla: i media lo seguono, affamati di ascolti e clic, senza battere ciglio, e senza poter pretendere in cambio di avere qualche retroscena.

Uno che non è scemo, e che si è accorto del vero potenziale del biondo miliardario, è Chris Christie, che fino a ieri lo chiamava ”entertainer-in-chief” e lo accusava di essere incapace a gestire il potere. ”Non ha idea di come si possa governare”, diceva lo scorso 7 febbraio. E invece eccolo lì, due sere fa, a “endorsarlo”, con un’espressione che è già diventata un tormentone di gif animate e sberleffi in rete.

Ma i giochini social si dimenticano presto, e sono creati e letti dallo stesso elettorato che non voterebbe mai per Trump. Christie punta invece ai repubblicani, moderati e anche liberal del Nord-Est, di cui è stato per anni il campione (finché non è inciampato nello scandalo del ponte). E’ stato il primo politico di peso, e che peso, a salire sul carro del vincitore, e punta a garantirsi un posto nel ticket come candidato alla vicepresidenza.