Due morti, molti feriti e l’ombra dell’Isis che continua ad allungarsi sul Caucaso russo. Una potente esplosione ad un posto di blocco in Dagestan in cui sono morti due agenti di polizia è stata rivendicata dall’Isis, secondo cui le persone uccise sono addirittura 5, ma di questo bilancio non vi è riscontro presso le fonti ufficiali. Diciotto i feriti, secondo la procura di Derbent, che ha ricostruito la probabile dinamica dell’accaduto: i poliziotti hanno intimato l’alt ad un’automobile che si stava avvicinando al posto di controllo e, costretto a fermarsi, l’autista si è trasformato in kamikaze, facendo detonare una, forse due bombe che aveva a bordo. Lo scoppio ha provocato un incendio, che dall’auto dell’attentatore si è propagato ad altre vetture in coda.
Poche ore dopo, l’Isis ha rivendicato “un’operazione di martirio compiuta da un combattente dello Stato Islamico con un’ auto imbottita di esplosivi contro un posto di blocco della polizia nel Dagestan”, ha postato sul web l’agenzia stampa Amaaq, nota come organo stampa dell’Isis. Amaaq (Profondità) è anche il nome di una delle case di produzione media del califfato.
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Il Dagestan, instabile repubblica del Caucaso russo che con la ‘normalizzazione’ cecena è diventata la nuova capitale dei jihadisti attivi sul fianco Sud dell’impero russo, di recente sembra essere entrato davvero nel mirino dell’Isis. La notte del 30 dicembre degli sconosciuti hanno aperto il fuoco su una torretta di guardia dell’antica fortezza di Karin-Kala, che sovrasta la città di Derbent: 11 feriti, un morto. L’azione è stata attribuita allo Stato islamico, anche se le autorità locali hanno smentito, facendo notare che l’Isis rivendica qualsiasi situazione che possa allungare il suo curriculum di attività terroristica.
E’ comunque cosa nota che la Russia sia nel mirino dei jihadisti del Califfato nero: ancora molto prima dell’intervento russo in Siria, a settembre 2014, i fondamentalisti dell’Isis hanno diffuso su Youtube un video per incitare alla “guerra” contro la Russia di Vladimir Putin, colpevole di appoggiare il regime di Bashar al Assad, e per “liberare” il Caucaso da non islamici. A fine 2015, lo Stato islamico ha rilanciato con un video in cui Mosca e altre città russe vengono presentate come bersagli di azioni terroristiche.
Secondo Aleksey Malshenko, esperto di questioni caucasiche, i combattenti islamisti del Dagestan hanno cominciato nel 2014 a prestare giuramento al Califfato di Abu Bakr al Baghdadi, non senza complicazioni con i vertici jihadisti locali, che rivendicavano l’indipendenza del proprio “Emirato”, guidato da Aliaskhab Kebekov. Quest’ultimo, aveva deciso di lasciare ‘libertà di coscienza’ ai propri uomini, ma di fronte a una crescente emorragia di militanti, decise di bollare come “tradimento” le partenze verso il Medio Oriente. Nell’agosto del 2015 Kebekov è stato ucciso durante un’operazione antiterrorismo russa e il nuovo capo, l’imam Abu Usman Gimrinsky, a sua volta si è rifiutato di riconoscere la legittimità dell’Isis, ma anche lui è stato ucciso nell’agosto 2015. Da allora, l’Emirato del Caucaso è in piena crisi e anche l’affiliazione all’Isis è avvolta dalla nebbia sul futuro dell’organizzazione che da oltre due decenni chiede la creazione di una macroregione sotto il nome della sharia.
Nel 2015, i sostenitori caucasici dello Stato islamico in Dagestan, Cecenia, Kabardino Balkaria, hanno lanciato un appello “a sostenere la principale branca dell’organizzazione”. In base a dati ufficiali del ministero russo dell’Interno, circa 900 mujahidin sono attivi solo in Dagestan, secondo altre fonti sono almeno 2.000, su una popolazione complessiva di meno di 3 milioni di abitanti. ASKANEWS
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