Le megabanche europee affondano sotto cumuli di spazzatura

 

mario-draghi-e-trichet2 - Copia(MOVISOL.org) Mentre la Commissione UE accende i riflettori sul settore commerciale delle banche italiane, che ha prodotto sofferenze per centinaia di miliardi, un buco molto più grande sta emergendo nel settore dei titoli ad alto rendimento, i cosiddetti junk bond, delle banche d’affari europee. Si stima che a causa dello scoppio della bolla del petrolio e delle merci, i bonds ad alto rendimento abbiano perso il 50-60% del valore. I rendimenti sono saliti a circa il 17%, come quelli del Monte dei Paschi se la banca di Siena trovasse un acquirente per le sue obbligazioni.

Le banche più esposte ai mercati del gas e del petrolio sono quelle francesi. Jonathan Tyce di Bloomberg Intelligence calcola l’esposizione delle maggiori banche transalpine, tra cui Crédit Agricole, BNP Paribas, Societé Générale e Natixis, a oltre cento miliardi. Queste banche si trovano tra i primi sette istituti europei esposti con crediti al settore energetico, e tra le prime cinque per le imprese metallifere e minerarie, secondo gli analisti di Nomura.

Un problema è che le banche non hanno costituito riserve straordinarie per coprire le perdite e non sono esattamente trasparenti nel rendiconto dell’esposizione, della qualità del collaterale dei debitori o del rischio posto dalle imprese. Per contrasto, le banche italiane hanno costituito riserve che coprono fino al 40% delle sofferenze svalutate.

Un altro buco nero si trova nei paesi bassi, il centro del mercato spot del petrolio. Solo la banca ING, secondo Bloomberg, ha un portafogli di 29 miliardi di prestiti al settore energetico, che rappresenta il 14% del credito totale alle imprese. Il 4 febbraio, ING ha dichiarato che prevede di accantonare riserve per coprire 3,8 miliardi di prestiti incagliati se il prezzo del petrolio rimane ai livelli attuali.

Crédit Suisse ha comunicato che l’esposizione al settore petrolio-gas ammonta a 9,1 miliardi ma che non ci sarebbe motivo di preoccuparsi.

Per quanto riguarda Deutsche Bank, essa si è rifiutata di rendere nota l’esposizione al settore energetico, affermando solo che questa è “sottodimensionata” rispetto ad esso. Ma come ha scritto Paul Schulte, capo di SGI Research, la banca “ha un ampio portafogli di derivati sulle commodity che sono sotto stress a causa del crollo nella maggior parte dei prezzi delle merci”. Tutti sanno che Deutsche Bank ha il più grande volume di derivati del mondo, per un valore nozionale di 64 mila miliardi.

Il titolo Deutsche Bank è crollato di un terzo dall’inizio dell’anno, e l’istituto di Francoforte ha registrato perdite di 6,8 miliardi nel 2015. I suoi bond convertibili (co-co) sono vicini alla soglia del default, oltre la quale saranno soggetti al bail-in, e cioè convertiti in azioni.

“Ciò è avvenuto sotto il naso di tutti”, scrive Schulte, “perché mentre si pensava che il problema fossero le banche periferiche in Irlanda o Spagna, il vero problema è che Deutsche Bank e le banche francesi, con un mucchio di debito tossico per le commodity, sono sovraesposte, malvestite, non hanno alcun senso di gestione del rischio e sono organi di un capitalismo di stato” .