Mosca sta giocando le sue carte decisive in Siria, sperando di poter chiudere a breve la partita militare, ma l’interventismo russo di questi giorni non piace certo alla Turchia, che starebbe preparando un intervento militare oltre la frontiera siriana, de facto un’invasione. A dirlo sono in realtà gli stessi russi. A lanciare l’allarme è stato infatti il portavoce della Difesa russo generale Igor Konashenkov: “Abbiamo seri motivi per sospettare una intensa preparazione della Turchia per una invasione militare sul territorio della Repubblica araba siriana”, ha detto il generale, “osserviamo con crescente frequenza i segnali di preparazione segreta da parte delle forze militari turche ad azioni concrete sul territorio della Siria”.
Fuga dai territori, una marea umana
https://youtu.be/0U7cwp_Xky8
Ma sono giorni che circolano indiscrezioni su attività turche – in particolare lo sminamento di tratti di frontiera – a cui potrebbe seguire un’azione oltre il confine siriano. L’area che interessa Ankara è tra le città siriane Jarabulus e Marea, una striscia di territorio sulla frontiera turca lunga circa 90 chilometri occupata dai jihadisti dello Stato islamico (Isis).
E’ una zona basilare per la Turchia, che vorrebbe – lo chiede da tempo, senza tuttavia mai ottenere l’approvazione dell’alleato Usa – vederla trasformata in una “zona cuscinetto” che le dia controllo sul confine con la Siria e dividere in pratica l’area a maggioranza curda. E sono tre giorni che la propaganda Isis in rete denuncia tentativi di Ankara di “infiltrasi” nel suo territorio. Anche oggi l’agenzia “al Amaq”, organo media ufficiale del califfato ha scritto che i militanti del gruppo guidato dal Califfo Abu Bakr al Baghdadi “hanno aperto il fuoco contro soldati turchi che volevano infiltararsi nella terra del califfato nei pressi di Jarabulus”. Una indiretta conferma dell’allarme lanciato dal Cremlino.
Tutto questo, sullo sfondo dell’interruzione dei negoziati a Ginevra, dove le delegazioni delle fazioni contrapposte non hanno, per diverse ragioni, nessun interesse a sedersi al tavolo per una soluzione politica proprio ora che si sta giocando una partita decisiva attorno ad Aleppo. Continua infatti l’avanzata delle forze di Assad, con il supporto dei raid russi, e probabilmente il silente assenso degli Usa.
Di “tacita intesa” tra Stati Uniti e Russia per far prevalere il regime del presidente Bashar al Assad parla apertamente la stampa araba vicina alla monarchia saudita, come l’ex direttore del quotidiano al Quds al Arabi, Abdel bari Atwan, che punta il dito contro una scelta, quella di Washington, “dettata dalla priorità Usa di sconfiggere, una volta per tutte” il Califfato nero. E un cambio di atteggiamento reso necessario dall”incapacità dimostrata dall’opposizione moderata di affrontare la minaccia terroristica” dell’Isis.
Ma al di là delle paure e le delusioni degli alleati regionali di Washington, anche gli sviluppi sul terreno sembrano indicare una certa ambiguità da parte dell’amministrazione Usa. L’America chiede ai russi, assieme ai partner occidentali, di “fermare i bombardamenti”, ma non pare affatto intenzionata a dare ascolto ai disperati appelli dei ribelli siriani, che chiedono missili terra-aria per far fronte ai jet russi, supporto decisivo per l’avanzata dele truppe di Assad.
Ben diverso invece l’atteggiamento di Washington verso le forze curde siriane che, oltre ad avere inflitto la prima sconfitta sul terreno agli uomini di al Baghdadi, si sono alleate in un fronte unico con milizie siriane non jihadiste. E’ di oggi infatti la notizia dell’arrivo a Rmaylan, pista vicina a Qamishly, roccaforte curda nella provincia nord-orientale di al Hasaka, di “tre elicotteri cargo americani carichi di armi leggeri e munizioni”. Vale la pena ricordare che si tratta di una pista costruita di recente dagli Usa (lo ha confermato anche il New YOrk Times) e che la partita d’armi è diretta a Kobane in vista di un’offensiva delle forze curde su al Manjib”, città ad nord-est di Aleppo controllata appunto dall’Isis. (Isis).
Una semplice occhiata alla carta geografica nella zona intorno ad Aleppo spiega perchè la Siria oggi è una polverieria che rischia davvero di innescare una guerra su scala più ampia. Oggi, con l’avanzata dei governativi, i jihadisti dell’Isis si ritrovano stretti a Ovest dal ‘martello’ dell’alleato di Mosca, Assad e ad Est dall”incudine’ delle forze curde , alleate degli Usa. E ritenute da Ankara braccio siriano dei “terroristi” del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan turco.
La battaglia di Aleppo ha di fatto sancito una pesante sconfitta dei ribelli siriani sostenuti dalla Turchia: l’esercito Islamico ed Ahrar al Sham, due milizie che rappresentano il grosso dell’opposizione cosiddetta moderata, ma che spesso si sono alleate con il Fronte al Nusra, che è la filiale ufficiale di al Qaida in Siria. Uno sviluppo che preoccupa fortemente la Turchia, che vede il rischio di una legittimazione dei curdi e la perdità di ogni influenza in Siria. ASKANEWS
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La “zona cuscinetto”, come la no-fly zone, a controllo turco in Siria sono un vecchio pallino di Davutoglu, da sempre rivelatisi irrealizzabili.
Lo sono ancor meno oggi, vista sfumare la possibilità di una copertura aerea.
Il regime di Erdogan è, però, molto incline agli atti di disperazione.
Forse è proprio lì che lo aspettano i molti nemici della Turchia.
La sedicente Repubblica Turca di Cipro non ha riconoscimento internazionale e non fa parte della NATO. Il nodo potrebbe essere affrontato dalla Repubblica Cipriota (membro UE), assieme alla Grecia (membro NATO) e liquidato in non più di 144 ore assieme alla Russia. Pure con il benevolo benestare di Israele. Erdogan, già impantanato in Siria non rimarrebbe che con un palmo di naso.
Sul terreno siriano, poi, la truppa turca potrebbe trovarsi a diretto contatto con le forze armate iraniane, legittimamente sul posto a sostegno del Governo di quel Paese. Un’ottima occasione per fare un pellegrinaggio a Tehran, con il sale sotto le ginocchia, per implorare la liberazione dei dei soldati turchi prigionieri dei Pasdaran.
Credo che nessuno potrebbe più trattenere i militari turchi dal colpo di stato.