Quando ormai un anno fa, il primo dicembre del 2004, l’allora premier polacco Donald Tusk fu eletto presidente del Consiglio Europeo, i polacchi la presero come una fuga dalla Polonia. Il suo governo era già da alcuni mesi in balia di scandali ed accuse di corruzione che riguardavano i più stretti collaboratori del premier e toccavano anche esponenti della sua famiglia. La condizione sociale del più grande dei Paesi della nuova Europa era allo stremo. Le privatizzazioni di favore che il più delle volte avevano portato alla svendita di importanti aziende statali, pur salvando i conti nazionali -dando la parvenza che la crisi globale non avesse infierito sulla Polonia-, ha determinato nel corso degli ultimi otto anni una profonda situazione di disagio economico e sociale a spese della classe operaia. Tusk aveva messo in essere, col beneplacito della Commissione Europea, una liberalizzazione selvaggia che minacciava tutti i settori dell’economia nazionale, dal petrolchimico all’estrazione del carbone, dall’agricoltura al settore bancario.
Chi si è arricchito a spese della Polonia e dei Polacchi è stata prima di tutto la Germania, con le sue banche, i suoi supermercati e i suoi pacchetti di maggioranza nelle industrie strategiche polacche -in modo particolare in quelle estrattive- che costituivano la spina dorsale dell’economia nazionale. Con Tusk la Polonia non solo ha avuto come azionista di maggioranza la Germania di Angela Merkel ma ha rinunciato anche alla storica difesa della propria ragion di stato accondiscendendo a fare da cuscinetto fra gli interessi alemmanni e quelli russi, permettedo per esempio la costruzione del gasdotto Nordstream nelle immediate vicinanze del porto di Swinoujscie al nord di Stettino, che così ha visto significamente ridurre il proprio ruolo strategico come porto mercantile e militare.
A fronte di questa lottizzazione della Polonia, il governo Tusk ha ricevuto l’incondizionato appoggio della Germania nella ripartizione dei contributi ed incentivi europei per l’agricoltura, l’innovazione e la coesione sociale, che hanno consentito di “mettere a tacere” gli abitanti dei comuni rurali come quelli delle città, e mantenere un capillare potere politico nelle amministrazioni comunali a statali attraverso la distribuzione di fondi e la creazione di posti di lavoro nella funzione pubblica e nella pubblica istruzione che oggi rappresentano uno dei primi settori d’impiego di un ricostruito ceto medio, a scapito di quelli che sarebbero dovuti essere i beneficiari naturali dei finanziamenti cioè le imprese artigiane e agricole.
L’emigrazione, che è il risultato più eclatante degli otto anni di governo di Piattaforma Civica, costituiva l’unico rimedio per coloro i quali per convinzioni politiche o per ambizioni non volevano entrare a far parte della spirale di corruzione che dominava la pubblica amministrazione ripartita fra la Piattaforma Civica, partito di maggioranza relativa fondato e presieduto da Tusk, e il Partito Popolare Polacco, storica stampella per i governi polacchi sin dai tempi del totalitarismo comunista.
In una Polonia che pur annoverandosi fra i vincitori della seconda guerra mondiale non aveva potuto godere dei frutti della libertà democratica, attanagliata dal regime totalitarista del blocco sovietico, in una Polonia che con il sangue dei sindacati operai aveva saputo anticipare la ben più nota Primavera di Praga sin dall’insurrezione di Poznan del 1956, nella Polonia del libero sindacato di Solidarnosc che anticipò di un decennio la caduta del muro di Berlino, il reteiramento dell’assoggettamento ai poteri forti della finanza europea nel XXI secolo non poteva trovare accoglimento.
Se nel 2005 l’incidentale elezione del Presidente di destra Lech Kaczynski fu la reazione alla dilagante corruzione firmata dai postcomunisti dell’Unione dei Democratici di Sinistra, nel 2015 -dieci anni dopo- gli elettori hanno smesso di credere all’europeismo sfrenato di Piattaforma Civica e di Donald Tusk che nel 2007 promise uno sviluppo pari a quello della verde Irlanda. Per quell’ormai infranto sogno europeo i Polacchi negli ultimi otto anni avevano sacrificato i loro valori portanti: Dio, l’Onore e la Patria.
È stata proprio Piattaforma Civica di Tusk in nome del multikulti europeo ad aprire le porte ai transessuali, alla fecondazione artificiale, alle coppie di fatto. È stata Piattaforma Civica a privatizzare la sanità pubblica, a vendere i fondi agricoli al capitale straniero, a chiudere i cantieri navali statali ed a mettere in crisi le miniere di carbone che costituivano la principale attività produttiva della nazione ma al contempo costituivano una minacciosa concorrenza nel settore industriale ed energetico per la Germania.
Inoltre la maggior parte dei Polacchi aveva smesso ormai di credere alla buona fede di Tusk circa le responsabilità della catastrofe aerea del 10 aprile 2010, allorquando l’aereo presidenziale del suo principale concorrente politico il Prof. Lech Kaczynski in circostanze non ancora chiarite si schiantò nei pressi dell’areoporto militare di Smolensk nel giorno in cui le massime autorità polacche con a capo il Presidente della Repubblica dovevano rendere onore ai martiri delle fosse di Katyn del cui massacro per la prima volta le autorità di Mosca rivelarono la responsabilità del regime sovietico di Stalin, dopo un appassionato lavoro diplomatico proprio dei fratelli Lech i Jaroslaw Kaczynski. Dopo la tragica morte del Presidente Kaczynski con la moglie Maria e 94 fra ministri e capi di stato maggiore dell’esercito polacco, Tusk diventò ostaggio dei poteri forti che gradualmente si sono trasformati in una vera e propria isteria portando ad una forte divisione politica in Polonia. Divisione che vista da fuori sarebbe facile assimilare ad un bipolarismo di matrice anglosassone, ma all’interno del Paese appare tutt’ora come una guerra Polonia-Polonia.
La Polonia di Piattaforma Civica di Donald Tusk è la Polonia che si pone in continuità con i poteri forti che derivano dal precedente regime comunista: forze armate, servizi di sicurezza, magistratura di ogni ordine e grado con ufficiali, ispettori e giudici che iniziarono la propria carriera ai tempi del generale Jaruzelski, appoggiati dal mondo della finanza. La Polonia di Diritto e Giustizia di Lech i Jaroslaw Kaczynski è la Polonia dei sindacalisti di Solidarnosc che non scesero a patti con i regime comunista, delle vittime della repressione comunista, degli intellettuali che continuarono a lottare per l’indipendenza della Polonia nonostante la censura comunista. Entrambi i partiti provengono dall’opposizione democratica al regime comunista.
Bisogna ricordare però che in Polonia una vera e propria decomunizzazione non è mai avvenuta come fu ad esempio quella della vicina repubblica Ceca. La trasformazione polacca avvenne fra il 6 febbraio e il 4 aprile del 1989 attorno ad una “tavola rotonda” alla quale parteciparono le allora opposizioni e i dirigenti del Partito Comunista Polacco che contrattarono una sorta di graduale cessione consensuale dei poteri, grazie alla quale i comunisti potettero fin ad oggi conservare i loro privilegi e concorrere alle più alte cariche dello Stato, con l’appoggio del Partito Popolare, dell’Unione della Sinistra e di Piattaforma Civica. I fratelli Kaczynski e Diritto e Giustizia non hanno mai accettato questo compromesso. Non a caso un governo postcomunista con a capo Leszek Miller leader dell’Unione della Sinistra Democratica portò a termine le trattative di accesione della Polonia all’Unione Europea nella primavera del 2003 ad Atene, senza prestare la necessaria attenzione alle cessioni di sovranità che la Polonia si impegnava a corrispondere all’Unione.
Fu solo nel 2005 con la Presidenza di Lech Kaczynski che la Polonia iniziò una riflessione sulla tutela della sua indipendenza e sugli attributi della sovranità nazionale. Il breve governo del fratello gemello di Lech, Jaroslaw Kaczynski durato appena un anno e mezzo dall’estate del 2006 all’autunno dell’anno successivo, frenò l’accesso della Polonia nella Eurozona. Diritto e Giustizia da allora sostiene che l’unica possibilità per ricostruire l’economia polacca dopo lunghi periodi di crisi è mantenere la sovranità monetaria.
Dopo otto anni di governo di Piattaforma Civica e dopo la “fuga” di Donald Tusk, ritenuto dalla gran parte della popolazione polacca responsabile della tragedia aerea di Smolensk, la vincita delle elezioni presidenziali da parte del candidato di Diritto e Giustizia, il giovane giurista ed europarlamentare conservatore Andrea Duda, il 24 maggio 2015, è stata salutata dai Polacchi come l’inizio dell’atteso cambiamento e della riparazione dei danni ereditati dai precedenti governi. Le presidenziali si sono rivelate solo l’anticipo della più ampia vittoria della destra polacca alle elezioni parlamentari del 24 ottobre scorso dove per la prima volta nella storia moderna della Polonia un solo partito, Diritto e Giustizia, ha conquistato la maggioranza assoluta di seggi in Parlamento tale da consentire di formare un governo monopartito.
Anche se la costituzione polacca non prevede l’elezione diretta del premier, la campagna elettorale del PiS (Prawo i Sprawiedliwosc – Diritto e Giustizia) è stata condotta da una donna, ex sindaco di uno dei comuni al sud della Polonia dove si trovano i più importanti giacimenti di carbone ed è concentrata l’industrializzazione del Paese. Il voto dei minatori, dei sindacati, dei giovani e dei cattolici delusi dalla svolta a sinistra del partito di Tusk, ha determinato la vittoria del candidato premier Beata Szydlo e del partito di Kaczynski Diritto e Giustizia. Un programma ben articolato scritto attraverso centinaia di incontri con gli elettori in tutte le province della Polonia, fortemente improntato al sostegno alla famiglia tradizionale e all’imprenditorialità nazionale, alla difesa della sanità pubblica e della scuola, alla lotta alla superfetazione dell’apparato amministrativo costruito da Tusk, che sono solo alcune delle priorità del nuovo governo. Beata Szydlo non intende indietreggiare però neppure di un passo sui temi tradizionali di Diritto e Giustizia: la lotta alla corruzione, la difesa delle frontiere esterne dell’UE, il respingimento alla frontiera degli immigrati irregolari, la difesa della valuta nazionale ed i maggiori investimenti per la sicurezza nazionale.
È chiaro che questa posizione di discontinuità dell’attuale politica polacca rispetto ai precedenti governi costituisce un enorme problema per la comunità internazionale che si trova a trattare non più con governanti accomodanti ma con politici dalla schiena dritta che hanno ricevuto un forte mandato elettorale proprio per non dover scendere a compremessi che possano indebolire l’indipendenza e la sovranità della Polonia. Con Diritto e Giustizia la Polonia vuol finire di essere la cenerentola d’Europa! Quest’aria di rinnovamento si respira dappertutto: negli uffici pubblici, nelle scuole ma anche nei caffè. Tutti, dal sud al nord, dalle montagne Tatra al mar Baltico, attendono con ferma speranza che qualcosa possa cambiare in meglio per la Polonia, che si possa arrivare alla ricostruzione delle industrie navali, che il governo possa tener testa alle pressioni delle lobbi europee dell’eolico per salvare la propria posizione sul mercato del carbone, che per qualità ed entità di estrazione è in grado di concorrere con i Paesi limitrofi i concorrere alla razionalizzazione delle politiche energetiche dell’Europa Centrale.
Al rafforzamento del Gruppo di Visegrad che associa Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria è improntata anche l’azione di politica estera del Presidente della Repubblica Polacca, Andrea Duda. Ecco perchè questa Polonia non si concilia con gli interessi egemoni della troika. Se i burocrati europei vogliono imporre le proprie regole per il mantenimento dei parametri di stabilità finanziaria, il nuovo Premier Polacco mette in cantiere la tassa sui profitti bancari e sugli ipermercati, consapevole che la proprietà della granparte degli istituti di credito e dell’invasiva GDO operante in Polonia è di holding della Vecchia Europa. Ma le manovre finanziarie pianificate da Diritto e Giustizia non servono ad aumentare il debito pubblico polacco ma a sostenere le famiglie attraverso veri e propi “investimenti” nel sociale, ad es. con un contributo mensile di 500 zloty per ogni bambino, pari ad un terzo dello stipendio medio nazionale, o a sostenere programmi per l’edilizia abitativa convenzionata al fine di affrontare una delle emergenze sociali più diffuse in Polonia che è appunto la mancanza di abitazioni a buon mercato per le nuove famiglie. Diritto e Giustizia con questi provvedimenti vuole far aumentare la capacità di spesa delle famiglie polacche e rivitalizzare l’indotto edilizio che ha avuto una brusca frenata negli ultimi anni di crisi globale. Crisi che seppur invisibile a livello di parametri economici, ha notevolmente influito sull’economia interna del Paese.
Questa rivoluzione copernicana del fare governo non per compiaciere all’Europa ma per la difesa della propria ragion di Stato, non è solo populismo. Al contrario. Diritto e Giustizia annuncia profonde riforme nel settore della pubblica istruzione per armonizzarla con la Convezione di Bologna, del servizio sanitario nazionale, nel settore della pubblica amministrazione e della giustizia, soprattutto al fine di renderla più indipendente dal potere politico e allontanarla dall’influenza dei vecchi gerarchi comunisti.
Beata Szydlo e Andrea Duda vogliono riappropiarsi di una identità nazionale, economica, sociale e giuridica che per lungo tempo fu negata alla Polonia. Diritto e Giustizia non è assolutamente un partito xenofobo e antieuropeo è un partito consapevole delle potenzialità geopolitiche della propria nazione, della propria storia con una spiccata vocazione a leader dell’Europa Centrale, cioè quella parte di continente strappata negli anni ’80 al blocco sovietico anche a prezzo del sangue polacco. La Polonia di Kaczynski, Szydlo e Duda è una Polonia che non vuole essere solo un pezzo di terra alla quale si è allargata l’Unione Europea, ma vuol essere un Paese che da un suo apporto chiaro all’Unione, cioè la propria identità nazionale.
Ma ancora una volta nella sua storia la Polonia sembra non poter realizzare una propria autonoma politica senza attirarsi le angherie del main stream. Siamo di fronte ad un problema geopolitico. Quando nel mese di settembre 2015 dopo l’insediamento del nuovo presidente della repubblica polacca Andrea Duda, i sondaggi erano tutti concordi sulla prevalenza della destra nelle elezioni parlamentari d’autunno, Martin Schulz presidente del parlamento europeo, trovò il pretesto per attaccare Diritto e Giustizia che dichiarava di non voler passivamente accettare le quote europee di allocamento degli immigrati clandestini sul territorio polacco. Schulz si spinse oltre dichiarando allora l’uso della forza nei confronti di quei Paesi che non avrebbero eseguito le decisioni europee. Non solo. Dopo la schiacciante vittoria del PiS alle elezioni parlamentari la paura di un’Europa che svolta a destra è stata incarnata dai poteri forti fra di essi la stampa internazionale, che detiene pacchetti azionari delle maggiori case editrici polacche, e la magistratura, al punto da far rincretinire i politici dell’ex blocco governativo che hanno iniziato ad utilizzare la televisione di Stato, ancora sotto il loro influsso per provare a legittimare la maggioranza di destra a sole poche settimane dall’insediamento del nuovo Parlamento.
All’interno della Polonia l’occasione è stata fornita dalla necessità di integrare il pool della Corte Costituzionale sulla base di nuove norme che -sul finire della precedente legislatura- Plattaforma Civica aveva cercato di monopolizzare. Sintomatico è che gli stessi esponenti di Piattaforma Civica si appellino ora alle istituzioni europee per discreditare il loro Paese e strapparsi le vesti di fronte ad una “crisi della democrazia” da loro stessi forgiata ad hoc per frenare le riforme annunciate dalla destra. Nonostante tutto il nuovo governo polacco del premier Beata Szydlo va avanti per la sua strada ed intensifica le relazioni internazionale fra l’altro con la Gran Bretagna al fine di matenere a destra la barra d’Europa che per lungo tempo ha virato a sinistra verso una sinistra rivelatasi pericolosa ed inadeguata per il continente.
A fare ieri marcia indietro sono stati costretti proprio i compagni del Partito Popolare Europeo di Bruxelles, del quale Piattaforma Civica è membro, ritirando la richiesta di dibattito in aula plenaria PE sulla fantomatica “crisi della democrazia” in Polonia. Il Maresciallo del Sejm polacco Marek Kuchcinski, presidente della Camera dei Deputati, in una lettera indirizzata al Presidente del Parlamento Europeo, ha chiarito senza mezze misure che l’ingerenza delle istituzioni europee nei fatti riguardanti l’ordinamento giuridico interno della Polonia non è ben gradita e potrebbe essere interpretata come ingerenza politica di parte. Senza dubbio è stata demarcata una linea che determinerà le relazioni fra l’Unione e i Paesi Membri. Questa linea è il rispetto della sovranità nazionale e dell’autoderminazione delle Nazioni. Dalla condivisione di questi valori si può partire per la costruzione di una Europa delle Nazioni che sia in mano ai popoli e non ai burocrati. Ora la sfida è creare giuste alleanze fra i maggiori partiti di destra a livello europeo. Diritto e Giustizia con attenzione e speranza guarda all’evoluzione dello scenario elettorale sia in Francia che in prospettiva in Italia che possono essere i prossimi partner del nuovo dialogo politico europeo.
Carlo Paolicelli Sindaco del comune rurale di Bolewice (Polonia)