C’è grande attesa a Myanmar per le elezioni legislative che domani potrebbero portare al potere Aung San Suu Kyi dopo decenni di lotte per la democrazia contro l’autoritarismo dei militari.
La Lega nazionale per la democrazia, guidata dal premio Nobel per la pace, punta a una vittoria che i sondaggi danno per probabile. Per la figlia del fondatore della Birmania indipendente si tratterebbe di un deja-vu: già nel 1990 aveva vinto le elezioni, ma la giunta militare aveva ignorato il voto e iniziato una persecuzione che ha portato la leader democratica educata in Gran Bretagna ad accumulare 15 anni di detenzione. Poi, nel 2011, i militari hanno ceduto il potere a un governo parzialmente civile guidato dall’ex generale Thein Sein, attuale presidente, che ha effettuato alcune riforme e ha liberato molti dei prigionieri politici. Questo ha portato al voto di questo weekend, che viene considerato da molti un punto di svolta.
Tuttavia sul futuro di Myanmar permangono ancora pesanti punti interrogativi. I militari non sono stati del tutto allontanati dal potere e, anzi, gli stati maggiori mantengono il potere di nominare un quarto del Parlamento, in base a una riforma costituzionale del 2008 che impedisce ad Aung San Suu Kyi di assumere la presidenza perché ha avuto un coniuge e ha due figli con cittadinanza straniera, britannica per la precisione. Tanto che ieri la leader ha chiarito, spavaldamente, che il presidente sarà un altro, ma lei sarà “sopra il presidente”. askanews