E’ durata poco piu’ di tre ore la ‘prova di forza’ di una nave da guerra statunitense che, ignorando gli avvertimenti di Pechino, ha sfidato la sovranita’ rivendicata dalla Cina sulle isole del Mar Cinese Meridionale per dimostrare il principio della liberta’ di navigazione in quelle che considera acque internazionali.
Secondo la Cnn il cacciatorpediniere USS Lassen ha lasciato verso le 5 ora italiana la zona entro le 12 miglia nautiche (limite delle acque territoriali rivendicate dai cinesi) dalle due isole artificiali di Subi e Mischief costruiti da Pechino dal nulla sulla barriera corallina appena affiorante nell’arcipelago delle Spratly.
Pechino ha protestato con vigore, defininendo l’azione come “un’illegalita’ ed un errore che non si dovra’ piu’ ripetere”, ma non ha comunque reagito aggressivamente all’ingresso del cacciatorpediniere – scortato dall’alto da due aerei per la ricognizione aerea, per registrare qualsiasi eventuale risposta ostile – nonostante il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, avesse “consigliamo agli Usa di ripensarci prima di agire, e di non agire ciecamente o creare preoblemi dal nulla”.
Il diritto della navigazione non riconosce e non applica il concetto di “acque territoriali” a strutture create artificialmente dall’uomo in mare. Pechino, invece, sostiene che si debba riconoscere questo status alle acque entro le 12 miglia nautiche alle decine di isole create dal nulla sulle barriere coralline delle Spratly e di altri arcipelaghi, contesi con altre nazioni alleate degli Usa, nel Pacifico.
In precedenza l’ambasciata cinese a Washington aveva chiesto agli Usa di “astenersi dal dire o fare qualsiasi cosa che possa sembrare una provocazione” esortando invece agli Usa “di agire responsabilmente per mantenere la pace e la stabilita’”. L’ambasciata ha aggiunto che far navigare una nave da guerra entro le 12 miglia nelle isole del Mar Cinese Meridionale dicendo di esercitare la liberta di navigazione “non dovrebbe essere usata come una scusa per ‘flettere i musocli’ (ostentatre potenza militare).
Il Pentagono ha sfruttato il precedente delle 5 navi da guerra cinesi che a settembre passarono a largo dell’Alaska all’interno delle acque territoriali Usa, ricorrendo al principio della liberta’ di navigazione. Passaggio non ostacolato in alcun modo da Washington.
Questa missione, fanno sapere dal Pentagono, e’ solo la prima di altre “missioni di pattugliamento” che – per ‘par condicio’ – saranno effettuate anche in isole rivendicate da alleati Usa e contese con la Cina, come Vietnam e le Filippine.
“Si tratta di qualcosa che avverra’ su base regolare, non sara’ un evento episodico e non e’ diretto solo contro la Cina”, ha spiegato un ufficiale dietro condizione di anonimato Nel vastissimo braccio di oceano Pacifico rivendicato dalla Cina passano ogni anno merci per 5.000 miliardi di dollari.
Da anni, con un accelerazione negli ultimi 12 mesi, Pechino ha rafforzato le sue pretese sulle isole di arcipelaghi come le Spratly e le Paracels, rivendicate da alleati dell’Ameica, come Filippine, Taiwan, Giappone, Brunei e Malaysia. Pechino ha reclamato, ad esempio, solo lo scorso 15 settembre, “l’incontestabile sovranita’” ed il diritto a costruire installazioni militare sulle isole Spratly, un arcipelago formato da oltre 750 tra isolette, atolli o semplice barriere coralline anche ad appena mezzo metro sotto il pelo dell’acqua.
Determinazione dimostrata lo scorso maggio quando ad un’aereo da ricognizione P-8 Poseidon della Us Navy venne intimato per 8 volte di seguito di allontanarsi dallo spazio aereo di una di queste isole artificiali dalla marina cinese. Una troupe della Cnn a bordo del Poseidon (versione militare di un Boeing 737) registr’ il minaccioso avvertimento in inglese provenire dall’isola in costruzione sottostante: “Aereo militare straniero, questa e’ la marina cinese, vi state avvicinando alla nostra zona di allerta militare, allontanatevi immediatamente. Andate via”.
La sola presenza di una troupe giornalistica a bordo di un aereo militare Usa ed in condizioni cosi’ particolari testimonia la determinazione di Washington di dimostrare la portata delle attivita’ cinesi nel vasto braccio di mare e, quindi, quella di pre-giustificare un’eventuale aazione dimostrativa per non lasciare alla Cina carta bianca nell’area.
Azione peraltro estremamente rischiosa, perche’ i cinesi in passato hanno ordinato di intercettare aerei americani responsabile della, secondo loro, ‘violazione’. Il primo aprile 2001 ci fu un precedente: un jet cinese si scontro’ in volo, ed il pilota perse la vita, con un aereo da ricognizione Usa P-3 Orion, che volava a ben 110 km dal territorio di Pechino. L’Orion fu costretto ad atterrare nella base cinese dell’isola di Hainan dove fu confiscato e smontato e i 24 membri di equipaggio liberati dopo 10 giorni e lunghe trattative. L’aereo venne restituito a pezzo il 3 luglio dello stesso anno.
Gli Usa hanno da parte loro ribadito che continueranno a sorvolare e a navigare in queste acque perche’ – attenti a non attribuirle a nessuno dei ‘duellanti – le ritengono spazi internazionali.
La Cina invece, creando queste postazioni militari dal nulla (aeroporti, porti e basi, riversando sulle barriere coralline migliaia di tonnellate di sabbia prelevata direttamente dal fondo del mare, rinforzata con pali d’acciaio e cemento) punta a rivendicare tutte le isola e del Mar Cinese Meridionale, anche se queste sono ad oltre 1.100 km dal lembo di costa cinese piu’ vicino, l’isola di Hainan. Cio’ per estendere la proiezione strategica navale ed aerea a migliaia di km dal continente, creando una zona cuscinetto nella quale – secondo Pechino – non dovrebbe penetrare alcun aereo o nave da guerra straniero senza la loro autorizzazione.
L’obiettivo di Pechino, una volta consolidate le basi su queste isole artificiali, e’ allargare il loro spazio territoriale, sia quello delle acque (12 miglia nautiche) ma soprattutto aereo, in tutto il Mar Cinese Meridionale realizzando una lunga serie di cosiddette ‘Adiz’ o “Air Defense Identification Zone” (Zone di difesa di identificazione aerea) lungo quella che loro chiamano la “linea dei nove punti”.
Si tratta di una linea di demarcazione/difesa, battezzata nel 2014 “La grande muraglia di sabbia”, rivendicata da Pechino sin dai tempi dei nazionalisti del Kuomintang e Chang Kai-Shek, che dai maoisti. Linea che include oltre le Spratly, le Paracel, le Pratas, il Macclesfield Bank e lo Scarboroigh Shoal. Tutte aree, a partire dalle Spratly, che sono molto piu’ vicine a Paesi come le Filippine: nel caso del Mischief Reef 240 km contro gli oltre 1.100 dalla Cina. AGI