Un giudice esperto come Maurizio Santaloci, gip al Tribunale di Terni, smonta con parole efficaci l’immagine «romantica» del vecchio topo d’appartamento, tipologia un tempo legata all’ultimo gradino della gerarchia criminale.
di Nino Materi – il giornale
Una specie di poveraccio (che faceva quasi «simpatia) il quale, prima di entrare in azione, si accertava che in casa non ci fosse nessuno, perché aveva paura di essere sorpreso da un componente della famiglia; oleografia da malvivente di mezza tacca, pronto a fuggire se qualcosa fosse andato storto.
«Questo identikit di topo d’appartamento è ormai anacronistico – spiega il giudice Santaloci, ospite del programma «Virus » su «Rai2 » -.
I segnali che giungono a noi magistrati attestano una sostanziale mutazione: molti dei componenti delle bande che assaltano ville e abitazioni isolate sono ex militari provenienti dai paesi dell’Est, con riferimento particolare a teatri di guerra nei Balcani o in Ucraina. Insomma, professionisti abituati alla violenza che non hanno alcun problema a “neutralizzare“ i componenti della famiglia all’interno della casa obiettivo dell’assalto. Questa gente non teme di trovarsi faccia a faccia con le vittime. I furti “evolvono“ così quasi sempre in rapine e, nei casi più drammatici, possono degenerare in omicidi».
La cronaca degli ultimi anni è piena di episodi del genere. Ad accorgersene sono stati in tanti (forze dell’ordine e magistrati in primo luogo), ma non il legislatore. Fermo a uno stereotipo di topo d’appartamento legato – per così dire – a un ridotto livello di pericolosità sociale; un’errata concezione a «basso tasso di rischio» che però ha conseguenze enormi sul piano della tutela dell’incolumità personale e della sicurezza pubblica. Gli sviluppi, apparentemente «paradossali», degli ultimi casi balzati agli onori delle cronaca sono l’esatta conseguenza di questo mancato adeguamento normativo. I cittadini si chiedono infatti come sia possibile che chi, armi in pugno, si difende da un’irruzione nella propria abitazione rischi di finire in galera (con addirittura l’ipotesi di reato di omicidio volontario).
Per non parlare di quei casi in cui le vittime sono stati condannati anche a risarcire i ladri e i rapinatori che avevano violato gli altrui domicili. Anni di carcere e migliaia di euro da pagare in conseguenza di una rigorosa applicazione – ormai antistorica – del reato di «eccesso di legittima difesa». Un’offesa al buonsenso, ancor prima che al diritto, che spesso umilia perfino uomini delle forze dell’ordine, «rei» di aver «esagerato» nell’uso delle armi per bloccare i criminali. E così, in questo tragico gioco di inversione di ruoli, accade spesso che le vittime passino per carnefici e i carnefici per vittime. Proprio come accaduto negli ultimi casi di assalti a gioiellerie e ville, dove onesti cittadini si sono ritrovati sul banco degli imputati. La loro «colpa»? Essersi difesi. Come dire: cornuti e mazziati.
Illuminante, a tal proposito, il parere del giudice Santaloci: «È necessario prevedere pene molto più severa nei confronti di quelli che ormai impropriamente continuano ad essere chiamati “topi d’appartamento“, ma che sono invece soggetti ad altissimo indice di crudeltà. Individui disposti ad ammazzare senza scrupoli e dinanzi ai quali anche il legislatore è auspicabile rimoduli i parametri che disciplinano la legittima difesa».
Obiettivo: tutelare chi si difende da una rapina e mettere in galera chi la rapina la compie. Non viceversa.