di Francesco Maria Del Vigo
Sono una bestia. Mi era già capitato che me lo dicesse qualcuno, ma in altri contesti e per altri motivi. Adesso che me lo ha detto il presidente del Consiglio è ufficiale, ne prendano nota anche gli animalisti e quelli del Wwf. Va a finire che in quanto appartenente al regno animale avrò anche più vantaggi che come essere umano. Sicuramente più che come italiano. Magari sono anche esentasse.
Sì, sono una bestia e me ne vanto. Meglio essere una generica bestia che essere sciacallo. Che pur sempre bestia è, ma tra le peggiori, quelle che si nutrono di cadaveri. Perché oggi Renzi, nel suo lungo e sudato comizio alla festa dell’Unità ai giardini Montanelli (che è come organizzare il festival anticlericale a San Pietro), lo ha detto chiaro e tondo: “Non c’è Pd contro le destre, ma umani contro bestie”. Insomma se non sei del Pd sei una bestia. Anzi, se sei di destra sei una bestia. Altro che emergenza cinghiali, abbiamo scoperto che in Italia ci sono decine di milioni di bestie. Ditelo alla Protezione Civile.
Il tutto corroborato dall’ostensione delle slide, tipiche dell’era renziana, che, in questa occasione, erano le immagini di Aylan, il bambino morto nel mare greco. Il caro leader, coi sondaggi a picco, per raccattare due voti non esita a sfruttare l’immagine di una tragedia. Hugh Hefner a confronto ha una moralità superiore agli stampatori della Bibbia.
Prima esibiva i grafici del pil, ora i morti. Mala tempora currunt, anche al Nazareno. Uno sciacallo, insomma. Come tanti altri, come molte delle anime belle che in questi giorni si sono abbandonati a riflessioni onanistiche sulla pubblicazione della sopraccitata immagine (pubblicazione sacrosanta). Se avete un antiemetico a portata di mano leggetevi il pezzo di Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano, sulla foto di Aylan (se non ne trovate uno a portata di mano vi anticipo il titolo: “Perché una foto ha sconfitto Salvini”). Perché tutto fa brodo, anche i cadaveri di pochi chili, per fare propaganda politica. Tutto è lecito. Certo, se la boiata la fa un giornalista è un conto.
Siamo tutti liberi di scrivere sciocchezze. Ma se lo dice un politico che, oltre a essere il leader del Pd, è anche il presidente del Consiglio, cambia tutto. Perché Renzi dovrebbe essere anche il mio presidente, anche se sono una bestia. Non solo quello degli “umani” di sinistra. E il comizio milanese di Renzi è stato il punto più basso della sua breve e vincente parabola politica. Lo dice uno che non si può ascrivere alla lista degli antirenziani doc: più volte su questo blog ho difeso le sue rottamazioni, la carica – ormai persa – di innovazione, la sua insofferenza all’etichetta sclerotizzata della politica, il suo spirito pop. Ma questo è un Renzi snob e razzista, così vecchio che a confronto Mattarella sembra Fedez, un Renzi che chiama “compagni” i suoi colleghi del Pd e che nel tentativo di recuperare due vecchi arnesi di sinistra in libera uscita tira pure in ballo il 25 aprile e la Resistenza, come un Bersani qualunque.
Sono una bestia e sono fiero di esserla. Criticare l’immigrazione clandestina, affermare che non c’è posto per tutti, dire che i morti dei barconi sono vittime del buonismo e di chi li illude, difendere gli interessi degli italiani, denunciare il business dell’accoglienza, ricordare che questa ondata migratoria trasformerà per sempre il volto del nostro Continente, smascherare l’ipocrisia di chi spalanca le porte senza coscienza delle nostre reali possibilità di accoglienza, ricordare che la stupida politica contro Assad è stata controproducente e affermare che non tutte le culture possono convivere è da bestia? Allora barrisco, nitrisco, raglio, abbaio, miagolo, ruggisco, grufolo. Sono una bestia e ne sono fiero: perché non ne posso più dell’ipocrisia e del razzismo di sinistra, di questa superiorità morale, di questo apartheid ideologico, di questo ricatto del politicamente corretto.
Sono una bestia ma senza guinzaglio, caro Matteo. Tu probabilmente vorresti mandarmi allo zoo. Ma se continui così è più facile che tu finisca al circo. A fare il clown.
dal blog di Francesco Maria Del Vigo