di Marcello Foa
E così la risposta dell’Unione europea all’attentato sul treno Amsterdam-Parigi si concretizza nella richiesta di rendere nominativi i biglietti ferroviari, di introdurre controlli sulle persone e sui bagagli, di istituire pattuglie congiunte sui treni. Ed è ancora una volta sbagliata, intrisa di ipocrisia.
Da sempre c’è solo un modo per sgominare l’eversione: più intelligence, più infiltrazione, più monitoraggio dei gruppi a rischio. Si chiama prevenzione mirata. Le misure indiscriminate, come quelle proposte da un gruppo di Paesi europei – inclusa, purtroppo, la Svizzera – non servono assolutamente a nulla, tanto più quando hai a che fare con fanatici pronti al martirio personale nel nome di Allah.
Pensate davvero che un terrorista islamico rinunci a mettere una bomba su un convoglio perché deve comprare un biglietto a suo nome? O che sia complicato per un Gruppo terroristico organizzato far registrare il kamikaze sotto falso nome e farlo salire a bordo con un documento contraffatto?
Le misure riguardano i treni a percorrenza internazionale. Per quelli locali invece resta tutto come prima. Perché è ovvio che un fanatico dell’Isis, se vuole fare una strage, sceglierà una tratta lunga; i treni dei pendolari no. Quella è roba scadente, non degna di un terrorista, che si tratta bene. Vuole sangue, tanto sangue, ma possibilmente blu.
Suvvia ci stanno prendendo in giro oppure, più verosimilmente, perseguono altre finalità, più prossime al controllo sociale che alla lotta all’eversione. Lo schema lo conosciamo e fu enunciato nel 2011 con grande, cinica chiarezza da Mario Monti: crisi straordinarie, a forte impatto emotivo, servono a far accettare misure che altrimenti l’opinione pubblica non accetterebbe mai. Si riferiva al processo di costruzione europea ma il principio vale anche per il terrorismo.
Prendete il Patriot Act, approvato dopo l’11 settembre, rileggetevi le sconcertanti accuse di Snowden sulle schedature di massa operate dalla Nsa su praticamente tutti i cittadini del mondo, inclusi gli stessi americani, inclusi tu, caro lettore, ed io. Io non sono un terrorista e, immagino, tu neppure; però c’è qualcuno che sa tutto di noi con una plateale e sconcertante violazione dello stato di diritto e dei principi della democrazia. A cominciare dai passaporti biometrici e proseguendo per la tracciabilità – implicita e talvolta esplicita – di ogni nostro movimento, anche finanziario. Roba che la Stasi nemmeno immaginava e che evoca, sinistramente, le profezie di Orwell.
Ora tocca ai treni. La decisione di rendere nominativi i biglietti ferroviari ha un solo vero effetto: quello di permettere alle autorità di tracciare legalmente i nostri spostamenti tra un Paese all’altro anche lungo i binari. Dunque di renderci meno liberi. Un altro passo verso il Grande Fratello.
E’ la stessa Unione europea che inasprisce i controlli sui cittadini onesti e al contempo si dimostra indulgente e “buonista” laddove ci sarebbe bisogno di una mano fermissima: contro gli scafisti, contro le organizzazioni di trafficanti umani che sembrano beneficiare di una straordinaria, permanente, incomprensibile impunità.
Inflessibile contro un pericolo ipotetico e impalpabile – il terrorismo – l’Europa è arrendevole e compiacente nei confronti della più crudele e disumana delle immigrazioni, quella clandestina, quella che volutamente confonde chi scappa dai drammi della guerra e meriterebbe asilo, da chi fugge per motivi economici e andrebbe respinto. E che nel Vecchio Continente non troverà certo l’Eldorado sognato. Perché spingere milioni di disperati all’interno di Paesi dove l’economia non cresce e dove quasi un giovane su due è senza lavoro, significa creare autentiche bombe sociali, che sfociano nel razzismo, nella guerra tra i poveri, in un’assurda ma efficace destabilizzazione sociale verso una multietnicità imposta, che trasforma definitivamente l’identità di interi Paesi e di grandi culture, rendendo ogni Stato simile all’altro e sempre più simile agli Usa.
E dove il terrorismo islamico può attecchire davvero,come estrema risposta al disagio, alla disperazione delle masse di disperati che Bruxelles chiama a sé. Ed è, questa, l’ipocrisia più grande. O, se preferite, l’altro aspetto di una tragica e forse non casuale farsa.
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