Avv. Marco Mori
L’Europa ha scelto una strada molto precisa, coerentemente alla messa al bando dei deficit di Stato, ha messo al bando anche l’inflazione. La stabilità dei prezzi viene prima del diritto alla vita stessa.
L’art. 3 TUE, dopo aver genericamente affermato che l’Unione promuove la pace, la giustizia ed il benessere dei suoi popoli, al paragrafo 3 dispone:
“3. L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico”.
Le contraddizioni interne alla norma sono clamorose tanto da indurre ad escludere qualsiasi forma di buona fede nel progetto Europeo. Infatti le ipotesi sono solamente due: o chi ha scritto tutto questo era ignorante oltre ogni limite sia in diritto che in economia, oppure era in palese malafede. Non vi sono mezze misure.
Infatti un’economia sociale è per definizione, come previsto nel nostro modello costituzionale, un’economia che ha al centro gli inderogabili doveri di solidarietà economica, politica e sociale (come previsto dall’art. 2 Cost.) ed in cui lo Stato svolge il conseguente e necessario ruolo di coordinatore e controllore dei mercati al fine di tutelare il pubblico interesse così contenendo i naturali egoismi umani ed indirizzandoli verso la pubblica utilità. Un’economia fortemente competitiva invece è l’esatto opposto di un’economia sociale e l’esatto opposto della solidarietà.
La seconda clamorosa contraddizione della norma citata è che la compatibilità millantata tra stabilità dei prezzi e piena occupazione è addirittura negata dal principio macroeconomico della curva di Phillips. La curva del noto economista neozelandese infatti dimostra che esiste una relazione inversa tra il tasso d’inflazione e quello di disoccupazione e dunque all’aumentare dell’inflazione sale anche l’occupazione e viceversa.
Non deve poi assolutamente sfuggire ai lettori chi sia il soggetto che trae beneficio dalla stabilità dei prezzi, essa giova ai creditori e consente a chi opera esclusivamente in prodotti finanziari di non doversi preoccupare mai del fatto che l’inflazione possa erodere i propri profitti. Nell’economia che invece interessa al 99% delle persone, quella reale, se all’aumento dei prezzi corrisponde un proporzionale aumento dei salari e del conseguente potere d’acquisto della popolazione, l’inflazione resta un fattore decisamente più neutro di quanto non lo sia la moneta e comunque per tutti noi una bassa inflazione è male esattamente quanto una troppa inflazione: la stabilità totale dei prezzi va considerata una tragedia per l’economia.
L’estremismo europeo nella tutela degli interessi esclusivi del potere finanziario è esplicitato poi senza vergogna alcuna nell’art. 127 del TFUE laddove, fissando i compiti del SEBC (Il sistema europeo delle banche centrali), si ribadisce:
“L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato «SEBC», è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea”.
In sostanza la norma afferma testualmente non solo che la stabilità dei prezzi viene prima del sostegno all’economia reale ma il richiamo all’art. 3 del TUE finisce con anteporla addirittura alla pace, alla giustizia ed al benessere dei popoli componenti l’Unione.
In claris non fit interpretatio, visto che l’art. 3, paragrafo 1, TUE dispone:
“L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli”.
Non è dunque chi scrive ad affermare che l’UE antepone la stabilità dei prezzi ai principi fondamentali ed ai diritti inalienabili dell’uomo ma lo dice direttamente il dettato dei Trattati stessi. L’UE non è un’organizzazione che si prefigge la pace e la giustizia ma è un’organizzazione che punta alla stabilità finanziaria all’interno di un’area commerciale di libero scambio in cui le garanzie volute dalla nostra Costituzione vengono dopo all’indipendenza assoluta delle autorità di mercato.
Il nostro sistema Costituzionale ne risulta sconvolto dalle fondamenta e ciò sia sotto il profilo della perdita della sovranità che sul merito stesso dei valori che la Costituzione tutela. Le norme europee subordinano il lavoro alla finanza, subordinano l’interesse pubblico al profitto, antepongono la forte competizione alla solidarietà dando così vita ad un nuovo ordinamento basato sull’applicazione della legge del più forte che in chiave moderna diventa la legge di chi detiene il capitale finanziario ovvero di chi ha la prerogativa assoluta di decidere i flussi monetari circolanti nelle nostre economie.
Si tratta di una radicale rivoluzione di quei valori che in Europa avevano trionfato solo dopo secoli di lotte che conduce inevitabilmente verso la dittatura: la crisi economica matematicamente innescata da queste poche regole diviene lo strumento per imporre la cessione di sempre maggiore sovranità che in gran parte va letteralmente dispersa proprio per giungere ad una nuova forma sociale in cui la finanza impera.