Non un vero e proprio euroscettico ma un europeista riluttante, che si poneva molti interrogativi sulla cessione di sovranità e sul funzionamento dell’euro. Paolo Savona affronta – in un intervento sul numero di ‘Milano Finanza’ ieri in edicola – un aspetto inedito e mai troppo indagato, di Francesco Cossiga: il suo giudizio sulla costruzione dell’Unione europea.
Lo snodo delle riflessioni dell’economista a cinque anni dalla morte di Cossiga, è il messaggio del 26 giugno 1991 alle Camere, con il quale l’allora presidente della Repubblica (che ha “lasciato un vuoto incolmabile” nella politica, scrive Savona), richiamava il Parlamento all’obbligo di riformare lo Stato e le sue istituzioni.
“Proprio partendo dall’attualità dei suoi interessi – scrive ancora l’economista riferendosi alle odierne traversie economiche della Grecia – voglio ricordarlo per la posizione cauta che aveva preso nei confronti del Trattato di Maastricht, almeno per la parte riguardante l’euro, contro la cui adesione mi ero pronunciato, non perché non ritengo necessaria la moneta unica, come ho spiegato più volte, ma perché la Banca Centrale Europea è costruita male e l’Italia non era preparata a partecipare”.
Cossiga si rivolse a Savona per un parere ma “oltre me, egli consultò anche Guido Carli, allora ministro del Tesoro, e Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia, che lo convinsero del contrario. Poiché essi rappresentavano i veri poteri forti del Paese, Cossiga seguì i loro consigli e si dichiarò favorevole alla delega di sovranità monetaria che si andava ad aggiungere a quella di regolare i mercati, già in atto con il Trattato di Roma”.
“Cossiga – prosegue l’economista – contrariamente alla maggioranza dei gruppi dirigenti, era quindi cosciente che i punti di debolezza dell’Italia erano le istituzioni imperfette e le politiche distorte e che non ci stavamo preparando ad attuare gli impegni che avremmo presi firmando il Trattato di Maastricht. Non sapremo mai se le cose sarebbero andate diversamente nel caso si fosse seguita la via delle riforme da lui suggerita nel messaggio del 1991, non quelle richiesteci dall’Ue”.
“Con i collaboratori alla presidenza della Repubblica – rivela Savona – ho discusso sulla possibilità che Cossiga fosse già informato della rivoluzione politico istituzionale incombente per iniziativa della magistratura, nota come Mani Pulite, e che, per questo motivo, lo avrebbe indotto a decidere che era il momento di mettere l’Italia sotto tutela europea, idea che dominava certamente l’azione di Carli. Mi viene detto di no, ma la rete informativa di cui disponeva Cossiga era tale che la risposta non mi convince”.
“Se questa non fosse la ragione, la posizione espressa nel messaggio alle Camere del giugno 1991 nei confronti del Trattato di Maastricht si potrebbe considerare un suo errore di valutazione, peraltro allora condiviso e tuttora sostenuto da un’intera classe dirigente, che, essendo però di secondo livello, seguiva passivamente il corso della storia per continuare a prosperare nella crisi e scrollarsi finalmente di dosso i sindacati dei lavoratori, tacitando le pressioni sociali con i vincoli europei sul bilancio pubblico, ma accrescendo il peso della burocrazia nella vita degli italiani che lo stesso Cossiga, pur abile, non riuscì mai ad alleggerire”, conclude Savona.
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