Chiunque entra a Palazzo Chigi viene contagiato dal virus della promessa. E al primo posto c’è sempre quello del taglio agli sprechi che va a braccetto con la riduzione delle tasse. Ogni premier fa a gara con il suo predecessore a spararla grossa, nomina commissari ad hoc che a loro volta costituiscono squadre di super esperti che sfornano voluminosi dossier dati in pasto a stampa e tv.
I temi sono sempre gli stessi: sfoltire la miriade di poltrone clientelari, chiudere gli inutili enti sanguisuga, applicare costi standard, intervenire sulle invalidità fasulle, chiudere i rubinetti dei ministeri e soprattutto mettere a dieta la casta. Obiettivi che vengono puntualmente disattesi mentre la spesa cresce.
La più antica traccia di spending review, ma allora si chiamava solo «controllo della spesa pubblica», si ha in una legge del marzo 1981 con il governo Forlani che istituiva presso il ministero del Tesoro una Commissione tecnica per la spesa pubblica. Dopo trent’anni siamo ancora punto e a capo con una spesa pubblica che dal 2008 al 2014 è cresciuta in rapporto al Pil dal 47,8% al 51,1%: un balzo in avanti di 3,3 punti percentuali superiore sia alla media dei paesi dell’Unione Europea (+1,6%) che a quelli dell’Eurozona. La nostra spesa pubblica è passata dai 780 miliardi di euro del 2008 agli 826 miliardi del 2014, un balzo in avanti di 45,5 miliardi.
Vediamoli questi annunci. Monti chiama a Palazzo Chigi Enrico Bondi, anziano manager che vanta di aver rimesso a posto Montedison e Parmalat che insieme al ministro Giarda, altro super esperto di spesa, deve mettere a punto un ambizioso piano di tagli. Ecco cosa dicono ai giornali. «Giarda: Via subito 100 miliardi di sprechi. Ma è possibile agire su altri 300 miliardi nel lungo periodo» (Corriere, 28-5-2012); «I tagli di Bondi: 14 miliardi in 2 anni» (Stampa, 13-6); «Via 1 statale su 10. Risparmi fino a 36 miliardi» (Corriere, 4-7-2012). «Subito i tagli: risparmi da 26 miliardi in tre anni» (Corriere, 6-7-2012). E per la «dismissione di beni pubblici: una partita da 500 miliardi» (Corriere, 15-6). E poi: «Mannaia di Monti sulle auto blu» (Stampa, 14-1); «Un esercito di 61 mila auto blu: via il 50%» (Repubblica, 14-8). Numeri in libertà difficili da seguire.
Arriva Letta e pesca dal Fondo monetario internazionale Carlo Cottarelli e gli dà carta bianca sulla spesa. Cottarelli prepara un corposo dossier mentre il ministro Saccomanni rilancia la centralizzazione degli acquisti presso la Consip. Risparmi: 5 miliardi. Ma fanno muro subito gli enti locali, che non vogliono perdere l’autonomia degli acquisti. Letta riesce a realizzare pochi tagli. È il turno di Renzi che annuncia subito 30 miliardi di tagli ma appena apre il librone di Cottarelli suda freddo: 83 mila esuberi nel pubblico impiego, tagli alla polizia, la chiusura degli uffici decentrati, per non parlare delle pensioni considerate troppo alte. «Solo ipotesi tecniche» smentisce Matteo. Nel 2015 i risparmi dalla spending review potrebbero arrivare a 18 miliardi di euro mentre nel 2016 si potrebbero toccare i 36 miliardi. Ma alla fine il risultato per il 2015 è di appena 5 miliardi, un quarto esatto di quanto inizialmente ipotizzato, a cui si aggiungono tre miliardi già programmati.
Laura Della Pasqua IL TEMPO
Ci risiamo con il venditore di fumo vede e spara cazzate supersoniche da far paura, e non vede la realtà di tutti i giorni questi a mio modesto parere, sono solo degli Incapaci e stanno li solo per poter prendere i mega stipendi oltre a finirci di rovinare, non posso dire ma a qualcuno caro costerà quello che sta succedendo, dovranno x forza di cosa chiudere le fabbriche, capisci a me diceva il Di Pietro.