Il 6 agosto 1945 alle ore 8:16 del mattino, l’Aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita tre giorni dopo dal lancio dell’ordigno “Fat Man” su Nagasaki. Il numero di vittime dirette è stimato da 100 000 a 200 000, quasi esclusivamente civili.
Lettera a ImolaOggi – riceviamo e pubblichiamo
Gentilissimo Direttore,
i principi in base ai quali vengono definiti i crimini di guerra dovrebbero valere per tutti, e cioè non solo per i vinti, ma anche per i vincitori. Si sa che sono questi ultimi a scrivere i libri di storia, con le ovvie falsificazioni annesse e connesse.
Se vale il principio secondo cui un comportamento criminale non può essere bellamente passato sotto silenzio, allora il presidente americano Truman andrebbe a pieno titolo riconosciuto come criminale di guerra. A lui si deve la decisione dell’istantaneo sterminio con l’atomica di decine di migliaia di uomini, donne e bambini innocenti. Un’azione dimostrativa dei terrificanti effetti dell’atomica su un obiettivo militare lontano da città popolose avrebbe ottenuto gli stessi risultati, cioè di indurre il Giappone alla resa, ma a un prezzo ben diverso.
Se si può arrivare a giustificare l’impiego della prima bomba su Hiroshima, il che a me pare in ogni caso una aberrazione, ciò non è comunque concepibile per la seconda, quella su Nagasaki, a tre giorni di distanza. Non trovo altri termini per definire le due decisioni, e ancor più la seconda, che quello di “crimini di guerra” o, se si preferisce, di “crimini contro l’umanità”.
Oltre tutto, per la cronaca, Truman fu pure falso e bugiardo, raccontando una delle più grosse menzogne della storia, in quanto riferì agli Americani che era stata colpita un’importante base militare giapponese: fu questa infatti la notizia riportata da tutti i giornali dopo lo scempio di Hiroshima. Solo per ragioni di convenienza e di pelosa ipocrisia (i principi non contano quando ci sono di mezzo gli interessi concreti) le atomiche su Hiroshima e Nagasaki non sono ancora ufficialmente riconosciute dalla comunità internazionale come crimini contro l’umanità. Esse tuttavia rappresentano un atto infame, anche se compiuto da un presidente statunitense, e una macchia indelebile che il tempo non potrà cancellare. Certamente riesce difficile usare per tutti (vinti e vincitori) lo stesso metro di misura, soprattutto se i vincitori si chiamano Stati Uniti, ma, per perseguire verità e giustizia, credo che sia doveroso e utile provarci.
Con i più distinti e cordiali saluti.
Omar Valentini