«Ma noi cosa siamo per lo Stato italiano? Perché per gli altri si trova sempre una sistemazione e per noi mai?». A Casale di San Nicola, periferia nord di Roma, da 3 mesi c’è il primo campo profughi di italiani. Trenta famiglie, quindici bambini dai due mesi ai dieci anni. Anche loro fuggono da una guerra, quella economica, che ha spazzato via lavoro, casa e una dignità.
Per loro il Comune di Roma non ha alloggi provvisori o altre sistemazioni che consentano a questi uomini, donne e bambini, di avere un tetto sotto il quale dormire. E non un telo di plastica che, con queste temperature, diventa un forno dove gli adulti soffrono, figurarsi i bambini.
Quando si è sparsa la voce che l’ex scuola Socrate sarebbe stata ristrutturata per accogliere gli stranieri, queste persone, che prima erano sparse un po’ per tutta la Capitale, hanno deciso di piantare le tende di fronte al casolare. All’ingresso sventola il tricolore, per ricordare, a chiunque passi da lì, che c’è una parte d’Italia alla quale sono stati negati i diritti. Mentre c’è chi fa a gare manifestare solidarietà a profughi, clandestini o richiedenti asilo (sebbene sia molto difficile distinguerli), nessuno si preoccupa degli italiani costretti a dormire in tende di fortuna.
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E i rifugiati si lamentano: manca il wi-fi
Le famiglie del campo hanno chiesto, ai servizi sociali, al Municipio XIV ed al Campidoglio, che la struttura di Casale San Nicola venisse concessa a loro o almeno una parte. L’edificio è dotato di bagni con docce, aria condizionata e persino un campo da basket. I tre grandi comparti, disposti a staffa di cavallo, sono predisposti per accogliere fino a 100 persone. Attualmente ci sono 20 nordafricani, forse nei prossimi giorni ne arriveranno altri. Mentre gli ospiti stranieri accompagnati con la forza fra le contestazioni e le polemiche dei residenti si lamentano perché il wi-fi non funziona bene o perché ci sono pochi computer e mancano le sigarette, nel campo profughi d’italiani si devono affrontare problemi ben più seri: non ci sono dei bagni chimici. Avevano richiesto, attraverso l’associazione «Nessuno tocchi il mio popolo» che è con loro sin dall’inizio, che venissero installati dei bagni. Nessuna risposta dal Comune. Donne e bambini sono costretti ad andare in campagna. Manca l’acqua, quindi si lavano a pezzi e vanno in autogrill per fare una doccia. Accendono il fuoco per mettere a bollire l’acqua e preparare un piatto di pasta. Non arrivano pacchi alimentari o generi di prima necessità. L’unico welfare funzionante è quello dei privati cittadini che portano loro biscotti, pasta, latte e vestiti. Ci sono stati degli abitanti dei paesi limitrofi che si sono adoperati per trovare un alloggio per alcune di queste famiglie e tutt’ora le aiutano a pagare l’affitto.
«Questa non è dignità- dice una donna-. Fino a ieri avevo anch’io una casa e un lavoro. Di colpo mi sono ritrovata in mezzo alla strada e ho scoperto che noi italiani non contiamo niente per questo Stato balordo. Viene prima uno straniero di me, vi pare normale?». Mentre parliamo con alcuni di loro il sole scotta, è impossibile star sotto le tende. «Di giorno alcuni vanno da parenti o amici. Specialmente chi ha bambini piccoli. Altri invece vagano per centri commerciali, dove c’è l’aria condizionata. La sera tornano a dormire in tenda. Se questo capita ai profughi, siamo tutti delle carogne, se poi invece per strada ci sono italiani, nessuno se ne importa. Questa è ipocrisia», dice un abitante del campo.
Giornalisti passano, diretti verso il centro, ignorando che, a dieci metri, c’è un pezzo d’Italia che nessuno vuol vedere. Gli invisibili di casa nostra, calpestati e umiliati da chi li dovrebbe tutelare. «Perché non rispettano delle graduatorie pure loro? – nota una donna – Io ho tre bambini, penso di avere diritto come loro ad un tetto per i miei figli». Sono mille gli interrogativi che si pongono a non c’è nessuno che dia loro una risposta. Nell’indifferenza generale c’è l’eccezione. Sono i ragazzi di «Nessuno tocchi il mio popolo»: Federico Cocco e Daniele Pizzoferrato, come altri, ogni giorno vengono a dare una mano a questi italiani, cercano di trovare una sistemazione, spesso ci riescono, grazie alla solidarietà dei romani. Solo quella. Perché qui lo Stato non esiste.
Francesca Pizzolante il tempo