I sottocitati punti chiave sono tratti da un’articolo di Philipp Gut, pubblicato sulla Weltwoche Nr. 28 del 9. luglio 2015, con il gentile consenso della redazione. mattino.ch
Paul Marti (nome modificato) addetto presso la segreteria di Stato della migrazione, ha raccontato alla redazione della Weltwoche le sue esperienze quotidiane in contatto con gli asilanti. La sua pluriennale esperienza nel settore gli ha permesso di farsi un’opinione precisa del sistema d’asilo e di apprendere cosa «i clienti eritrei», tuttora in testa alla classifica dei richiedenti, cercano di far credere agli interlocutori. Particolarmente evidente é che a parte pochissime eccezioni, tutti raccontino la stessa o simile versione della «fuga», come se ne avessero tratta la ricetta da un libro di cucina di Betty Bossi.
La vicenda che si é sentito raccontare dozzine e dozzine di volte é sempre la stessa e va cosi’: «sono stato reclutato forzatamente nell’esercito dove mi hanno tiranneggiato e picchiato. Non ne potevo piu’ e cosi’ una notte, col favore delle tenebre, sono scappato dal campo. Fuori ho trovato un fardello di abiti civili che ho indossato al riparo di una boscaglia. All’alba mi sono incamminato verso il Sudan che ho raggiunto circa due settimane dopo. Da qui ho continuato a bordo di un camion fino alla Libia dove ho lavorato al mercato e al porto. Con i soldi guadagnati ho aquistato un passaggio su un barcone per l’Italia. Durante la traversata mi sono caduti in mare e andati immediatamente a fondo tutti i documenti».
In quale direzione é andato dopo la fuga dal campo, verso ovest, est, nord o sud? «non lo so».
Camminava verso il sole levante o aveva il sole alle spalle? «dopo una breve esitazione: il sole mi splendeva in faccia».
Ne é sicuro? «si».
Se quello che mi ha raccontato fosse vero, con il sole levante alle spalle sarebbe andato in direzione est e arrivato prima o poi sulle rive del mar Rosso. Il Sudan si trova pero’ esattamente nella direzione opposta. (A questa osservazione, faticando a trovare argomenti credibili, quasi tutti i richiedenti si
ingrovigliano in eclatanti contraddizioni facendo crollare in se stessi gli assurdi racconti come se fossero castelli di carta).
A domande specifiche concernenti l’organizzazione militare dei quadri, i dati sui diretti superiori, la descrizione dettagliata dell’equipaggiamento e dell’arma personale, i «soldati» non hanno risposte idonee a conferma che la maggior parte di loro non é mai stata né nei pressi di una caserma nè di un esercito. Conseguenze non ve ne sono in quanto gli eritrei ricevono comunque l’asilo o «l’ammissione temporanea» che alla fin fine sono poi la stessa cosa. L’importante é che tutti, anche i piu’ grandi narratori di fiabe possano rimanere.
Certo é che gli asilanti imparano già in precedenza tutte le fiabe a memoria, sintonizzandole con le prassi adottate dalla musicante federale e seguaci sempre pronti, piazzandoli pero’ nei giardini altrui, a dare a braccia aperte il benvenuto ad ogni sorta di commedianti eritrei.
Questo al contrario di quello che fanno altri paesi europei come ad’esempio l’Austria, dove grazie a radicali contromisure il tema é inesistente. L’attuale problema svizzero é inequivocabilmente fatto in casa da irresponsabili buonisti e crea serie conseguenze per la popolazione ed i contribuenti. Alcuni comuni svizzeri si trovano già da tempo a dover gestire spese milionarie con rapida tendenza crescente in quanto gli eritrei, con un tasso di assistenza sociale ben al di sopra del 90%, sono praticamente considerati inintegrabili.
A eventuali scettici l’invito di compilare una lista con dieci (10) professioni e relativi datori di lavoro atti e disposti a dare un’occupazione che garantisca l’autosufficenza ad un’asilante africano. Semplicemente provare per credere!
Flavio Laffranchi, Losone