Grecia, ultimo Campo di Battaglia nella Guerra della Finanza contro la Democrazia

 La Grecia è solo  l’ultimo Campo di Battaglia nella Guerra dell’Élite Finanziaria contro la Democrazia

George Monbiot sul britannico Guardian punta il dito contro i poteri sovranazionali (FMI, BCE) che oggi come sempre colonizzano, indebitano e depredano i paesi poveri per conto delle élite finanziarie, in nome di un mito utopistico del “libero mercato”, che poi è solo la libertà del più forte di aggredire il più debole. Cambiano —almeno nei nomi— gli strumenti: ieri il gold standard, oggi l’euro e i trattati. Non cambiano i risultati: la soppressione della democrazia, l’impoverimento delle masse e, alla fine, la violenza. Voci dall’estero

grecia

di George Monbiot

La Grecia può essere in bancarotta finanziariamente, ma la Troika è in bancarotta politicamente. Quelli che stanno perseguitando la Grecia sono individui che esercitano un potere illegittimo e antidemocratico, un potere che in un modo o nell’altro ci sta affliggendo tutti. Pensate al Fondo Monetario Internazionale. La distribuzione del potere all’interno è stata cucita su misura: le decisioni del FMI richiedono una maggioranza all’85 percento, e gli USA detengono il 17 percento dei voti.

Il FMI è controllato dai ricchi, e governa sui poveri per conto dei primi. Si sta ora facendo alla Grecia ciò che prima era stato fatto ad un paese povero dopo l’altro, dall’Argentina allo Zambia. I suoi programmi di riaggiustamento strutturale hanno costretto decine di governi eletti a smantellare le spese pubbliche, distruggere la salute, l’istruzione e tutti gli altri mezzi con cui gli infelici di questa terra potrebbero migliorare le proprie condizioni di vita.

Viene imposto sempre lo stesso programma senza alcun riguardo alle specifiche circostanze: ciascun paese che viene colonizzato dal FMI deve porre come primo di tutti i suoi obiettivi economici il controllo dell’inflazione, deve rimuovere immediatamente le barriere al commercio e ai flussi di capitali, deve liberalizzare il sistema bancario, ridurre le spese del governo per tutto ciò che non riguarda la restituzione del debito, e privatizzare attività e beni che possono essere venduti agli investitori stranieri.

Utilizzando la minaccia della profezia che si autoavvera (infatti avverte i mercati finanziari che i paesi che non si sottomettono alle sue pretese sono condannati), il FMI ha costretto i governi ad abbandonare le loro politiche progressiste. Ha congegnato la crisi finanziaria asiatica del 1997 praticamente da solo: costringendo i governi ad eliminare i controlli sui capitali, ha fatto sì che le valute fossero esposte agli attacchi degli speculatori finanziari. Solo i paesi che si sono rifiutati di arrendersi, come la Malesia e la Cina, si sono salvati.

Pensate alla Banca Centrale Europea (BCE). Come la maggior parte delle altre banche centrali, gode di “indipendenza politica”. Ciò non significa che sia libera dalla politica. Significa solo che è libera dalla democrazia. Viene infatti governata dal settore finanziario, di cui è costituzionalmente vincolata a difendere gli interessi tramite il mandato di mantenere l’obiettivo di inflazione attorno al 2 percento. Tenendo sempre in mente dove risieda veramente il potere, la BCE è andata oltre il suo mandato, infliggendo deflazione e livelli epici di disoccupazione ai membri più poveri dell’eurozona.

Il Trattato di Maastricht, che ha stabilito l’Unione Europea e l’euro, è stato costruito su un’illusione letale: l’idea che la BCE potesse fornire quell’unica governance economica di cui l’unione monetaria aveva bisogno. Ciò sorgeva da una visione estrema del fondamentalismo del mercato: se l’inflazione viene tenuta bassa, immaginavano gli autori di questo trattato, la magia del mercato risolverà ogni problema sociale ed economico, rendendo inutile la politica. Queste persone sobrie, serie e rispettabili, che adesso si autoproclamano gli unici ragionevoli, si sono rivelati dei pazzi utopisti visionari, devoti a un culto economico fanatico.

Tutto ciò non è altro che l’ultimo capitolo di una lunga tradizione di subordinazione del benessere degli esseri umani al potere finanziario. La brutale austerità imposta alla Grecia è perfino mite se confrontata alle sue versioni precedenti. Considerate le carestie del diciannovesimo secolo in Irlanda e in India, entrambe esacerbate (nel secondo caso, causata) dalla dottrina del “laissez-faire” [letteralmente “lasciar fare”, NdT], che oggi conosciamo come fondamentalismo del mercato o neoliberismo.

Nel caso dell’Irlanda, è morto un ottavo dell’intera popolazione – ma si potrebbe quasi dire che è stato assassinato – alla fine degli anni ’40 del 1800, in parte a causa del rifiuto della Gran Bretagna di distribuire cibo, di bloccare l’esportazione di grano o di fornire un sostegno efficace ai poveri. Queste politiche avrebbero offeso la sacra dottrina del “laissez-faire”, secondo cui nulla si deve frapporre alla mano invisibile del mercato.

Quando la siccità colpì l’India nel 1877 e nel 1878, il governo imperiale britannico insistette per esportare quantità record di grano, causando così una carestia che uccise milioni di persone. Con l’atto Anti-Contributi di Beneficienza del 1877, il governo britannico proibì “a pena di reclusione, donazioni private di beneficienza che potessero interferire con i prezzi stabiliti dal mercato”. L’unico sostegno consentito veniva dato in cambio dei lavori forzati, ma veniva dato meno di cibo di quanto ne fosse fornito ai detenuti di Buchenwald. Nel 1877 la mortalità in questi campi è arrivata al 94 percento alla fine dell’anno.

Come ha fatto notare Karl Polanyi ne La Grande Trasformazione, il gold standard – quel sistema di auto-regolazione che stava al centro dell’economia del laissez-faire – impedì ai governi del 19esimo e del 20esimo secolo di aumentare la spesa pubblica o di stimolare l’occupazione. Li obbligava a mantenere nella povertà la maggior parte della popolazione, mentre i ricchi godevano un’età dell’oro. C’erano ben pochi mezzi per limitare il malcontento pubblico, se non portare via ricchezze dalle colonie e promuovere un nazionalismo aggressivo. Questo fu uno dei fattori che contribuirono alla prima guerra mondiale. Il ripristino del gold standard da parte di molti paesi esacerbò la Grande Depressione, impedendo alle banche centrali di aumentare la quantità di moneta e i deficit nei finanziamenti. Si poteva almeno sperare che i governi europei ricordassero cosa successe dopo.

L’equivalente moderno del gold standard – gli inflessibili impegni dell’austerità – abbondano. Nel dicembre 2011 il Consiglio Europeo ha concordato un nuovo fiscal compact, imponendo a tutti i paesi membri dell’eurozona la regola che “i bilanci pubblici devono essere in pareggio o in surplus”. Questa regola, che avrebbe poi dovuto essere incorporata nelle leggi nazionali, doveva “contenere un meccanismo di correzione automatico tale da scattare automaticamente in caso di deviazione dai parametri”. Ciò contribuisce a spiegare l’aristocratico orrore col quale i tecnocrati mai eletti della Troika hanno salutato il risollevarsi della democrazia in Grecia. Non si erano forse assicurati che quell’opzione fosse illegale? Questi diktat implicano che adesso l’unico possibile esito democratico in Europa è il crollo dell’euro: vi piaccia o no, tutto il resto è tirannia a fuoco lento.

È difficile da ammettere per noi che siamo di sinistra, ma Margaret Thatcher ha salvato il Regno Unito dal dispotismo. L’unione monetaria europea, diceva lei, avrebbe fatto in modo che i paesi più poveri non si potessero salvare, “il che avrebbe devastato le loro economie inefficienti”.

Ma ciò, a quanto pare, è servito solo a che lo stesso partito della Thatcher sostituisse questa tirannia con un’altra fatta in casa. George Osborne aveva proposto che si imponesse l’impegno a mantenere un surplus di bilancio che addirittura eccedesse quello imposto dall’eurozona. Anche le regole di bilancio “per la responsabilità” promesse dai laburisti, per quanto meno dure, avevano intenti simili. In tutti i casi i governi si vietano la possibilità di cambiare. In altre parole si impegnano ad ostacolare la democrazia. È stato così per gli ultimi due secoli, con l’eccezione della tregua dei 30 anni keynesiani.

La cancellazione della scelta politica non è un effetto collaterale di questo sistema di credenze utopico, ma un suo componente necessario. Il neoliberismo è intrinsecamente incompatibile con la democrazia, perché le persone si ribelleranno sempre contro l’austerità e la tirannia fiscale che essa prescrive. Qualcuno deve arrendersi, e deve essere il popolo. Questa è la vera strada verso la servitù: disinventare la democrazia per conto delle élite.