Cina, borse -30%. Oltre 2mila miliardi di euro passano in altre mani

Si chiude un’altra settimana nera per le borse cinesi, con i listini di Shanghai e Shenzhen che superano il 5% di perdite. Un dato a testimonianza dell’irrequietezza dei mercati del colosso asiatico, che in tre settimane hanno perso il 30% del loro valore. Oltre 2mila miliardi di euro, l’equivalente di 10 volte il Pil greco, sono passati in altre mani. Il trend dall’inizio dell’anno rimane comunque fortemente positivo, con un clamoroso +120% nonostante le perdite dell’ultimo mese.

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Questo tracollo, rilevano i media cinesi, sembrerebbe causato dalle difficoltà dell’economia locale, sulla quale aleggia lo spettro della deflazione, e dall’esplosione di una classica bolla speculativa. La crescita esponenziale del costo delle azioni registrata nell’ultimo semestre, completamente slegata dai risultati delle aziende, avrebbe spinto infatti molti azionisti a vendere, scatenando il panico nei listini.

A Pechino tuttavia si fa strada un’altra ipotesi. Questi fenomeni distorsivi sarebbero, secondo l’autorità di controllo delle borse cinesi, il frutto di un attacco speculativo di “forze predatorie estere”. Mirato a danneggiare il “processo di riforme economiche del paese”, secondo il giornale cinese ‘Financial News’, in questo attacco “vi sarebbe il coinvolgimento diretto della banca statunitense Morgan Stanley, colpevole di aver rivisto al ribasso le previsioni per la borsa di Shanghai lo scorso 26 giugno”.

Quest’idea del complotto internazionale sembra tuttavia essere strumentale alla politica del governo di Pechino, che ha provato più volte a rassicurare gli azionisti sullo stato di salute della propria economia. Non solo, il gigante asiatico ha anche dimostrato di essere pronto a intervenire in maniera decisa sul mercato, per evitare che la situazione peggiori ulteriormente. Tagliati i tassi di interesse (quarta riduzione da novembre 2014), la banca centrale cinese ha iniettato oltre 250 miliardi di yuan di liquidità nel sistema, mentre il fondo pensione pubblico è stato autorizzato ad investire il 30% del suo capitale (565 miliardi di dollari) nel mercato azionario. Queste misure non sono comunque riuscite a fermare la caduta degli indici di Shanghai e Shenzhen.

Proprio questi massicci interventi sono, secondo il giornale cinese ‘Global Times’, il motivo dell’assenza di ripresa. “Nessuno può controllare il mercato azionario. Troppe forze sono al lavoro nel gigantesco mercato cinese, che è diventato imprevedibile. Il futuro del mercato finanziario cinese risiede in un’ulteriore liberalizzazione, non nei controlli della politica. Le autorità dovrebbe rimuovere le distorsioni del sistema e fare del mercato un luogo per un gioco corretto”, conclude il giornale.

La tensione sulle piazze affari di tutto il mondo continua comunque a crescere. Dato l’alto livello di chiusura del mercato di capitali cinese, il pericolo di contagio è quasi inesistente, ma il semplice rallentamento della seconda economia del pianeta spaventa tutto il mondo. Il timore che, dopo il fronte greco, si possa aprire un’altra grande crisi, inizia a prendere corpo.

Intanto i 21 maggiori intermediari finanziari cinese corrono ai ripari. I 21 broker investiranno non meno di 120 miliardi di yuan (pari a circa 19,5 miliardi di dollari) in titoli ETF, e non venderanno i loro stock fino a quando lo Shangai Composite Index sarà al di sotto dei 4,500 punti.