Lo chiamano ‘the forest’, la foresta. Eppure, altro non è che largo Mazzoni, il piazzale davanti alla stazione Tiburtina. Da quattro giorni è la casa di centinaia di profughi, letteralmente accampati sotto gli alberi a pochi metri dalla stazione ferroviaria di Tiburtina, quella costata 330 milioni e che avrebbe dovuto costituire il fiore all’occhiello dell’Italia moderna, e all’ombra della Città del Sole, gioiello architettonico di Parsitalia.
Pochissimi di loro capiscono parole di italiano, qualcuno parla un inglese un po’ stentato, molto viene espresso a gesti. Per lo più sono di madrelingua aramaica, tutti musulmani. In giro, quando arriviamo, non se ne vedono più di 40: Loro però dicono di essere 150, forse 200. E qualche frequentatore del piazzale conferma quei numeri.
Per terra hanno messo dei teli, su cui stanno seduti durante il giorno o si sdraiano per dormire di notte. Intorno a loro, nessuno sembra averli notati, né pare essersi accorto della loro presenza, tanto meno le autorità
Ma da dove vengono e come sono arrivati in Italia? “Scappati … mare … Sardinia” dicono di essersi imbarcati su navi provenienti da vari Paesi dell’Africa, come la Libia, la Somalia, forse il Sudan, e di aver attraversato il mar Mediterraneo, fino ad arrivare a Roma.
L’Italia non è il loro approdo finale. Nel loro poco inglese, fanno capire di essere passati da qui per raggiungere altre mete. Soprattutto altri Paesi dell’Europa: “Germania, Norvegia, il nord Europa”, queste le loro mete. Ma non hanno soldi, dicono. Nè casa, né soldi. E, davanti alla domanda ‘come farete a trasferirvi?’ rispondono con il silenzio.
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