di Giuseppe Palma
Premessa:
Si narra che nel 1980 l’economista americano Arthur Laffer (classe 1940), incontrando per caso in un ristorante l’allora candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Ronald Reagan, gli avesse consigliato – attraverso una dimostrazione grafica scarabocchiata su un foglietto – di adottare una politica di riduzione delle imposte dirette. Con questa “curva a campana” l’economista sosteneva che quando la tassazione superava una certa soglia provocava NON un aumento bensì una diminuzione del gettito per le casse dello Stato. Laffer sosteneva che esiste un livello del prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più conveniente e il gettito è destinato a diminuire fino ad azzerarsi, nell’ipotesi in cui il prelievo raggiunga il 100% del reddito.
Un giornalista presente all’incontro chiamò quel grafico con il nome, appunto, di CURVA DI LAFFER.
Nel merito:
Dato un sistema di assi cartesiani, se indichiamo sull’asse delle ascisse la pressione fiscale (PF) e su quello delle ordinate il gettito (G), spostandoci verso destra si nota come, all’aumentare della pressione fiscale (PF1), il gettito cresce (G1) fino ad un livello massimo (GMAX con pressione fiscale PF*), ma successivamente, all’aumentare della pressione fiscale (PF3), il gettito inizia a decrescere (da GMAX torna a G1) fino al suo azzeramento (PFMAX = Gettito zero).
L’obiettivo del grafico è quindi quello di dimostrare che esiste un livello di tassazione che genera il massimo del gettito (ossia PF* = GMAX) oltre il quale l’attività economica non è più conveniente, pertanto qualora lo Stato aumenti la pressione fiscale oltre detto limite (cioè quando la pressione fiscale passa da PF* a PF3) si ha la conseguenza di un minore gettito (da GMAX a G1), ossia minori entrate fiscali per le casse dell’erario, fino al suo azzeramento (PFMAX = Gettito zero).
In parole semplici, quando le tasse sono troppo alte e superano una determinata soglia entro la quale è conveniente svolgere l’attività economica, i soggetti economici troveranno conveniente cessare o ridurre l’attività economica (con conseguenze negative non solo sul gettito ma anche sul PIL e sull’occupazione) oppure dar vita a comportamenti quali l’elusione e l’evasione fiscale, con la diretta conseguenza – in ogni caso – che le entrate fiscali per le casse dello Stato diminuiranno considerevolmente.
Ciò detto, appare quindi evidente che l’alta pressione fiscale e l’eccessivo rigore cui l’Italia è “abituata” a sopportare sin dal novembre 2011, hanno iniziato a produrre – e continueranno purtroppo a generare – una convenienza per i soggetti economici a cessare o a ridurre l’attività economica in Italia (trovando conveniente produrre in Paesi che hanno una pressione fiscale più bassa) ovvero ad evadere o eludere il fisco, provocando in ogni caso la conseguenza di una diminuzione del gettito… Chi vuol intendere, intenda! (tutto quanto sinora argomentato l’ho già scritto quasi un anno fa nel mio libro intitolato: “La dittatura dell’Europa e dell’Euro. Viaggio breve nel tessuto dell’Eurocrazia” – Editrice GDS, seconda edizione agosto 2014. Il grafico della curva è ripreso dal sito www.ilradar.com).
Conclusioni ed osservazioni:
Ciò premesso, vorrei ulteriormente precisare che l’aumento della tassazione, accompagnata da una moneta unica sbagliata e da pesanti politiche di austerity (come ad esempio l’introduzione di sistemi giacobini di accertamento fiscale, l’imposizione di un folle rigore di finanza pubblica con pedissequa costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio e l’introduzione di un limite molto basso all’utilizzo del denaro contante) – tutte introdotte dal Governo Monti e proseguite dai Governi Letta e Renzi (con il benestare di un Parlamento complice, sordo e schiavo) – hanno prodotto non solo una contrazione della domanda interna (ma questo, su confessione dello stesso Monti, era stato pianificato), ma soprattutto un impoverimento del ceto medio.
https://youtu.be/LyAcSGuC5zc
E’ sufficiente leggere i dati sul PIL e sulla disoccupazione per rendersi conto che gli ultimi tre Governi italiani hanno combinato solo danni.
Come ho già evidenziato nel mio libro “Il Male Assoluto […]”, occorre sottolineare che nel novembre 2011 – quando l’Intellighenzia nostrana plaudiva al golpe italo-europeo ai danni del Governo Berlusconi IV, a parte l’imbroglio rappresentato dal terrore dello spread, i dati sull’economia italiana erano, sì, preoccupanti, ma non drammatici: la disoccupazione era all’8,8% (quella giovanile poco sotto il 30%), il PIL registrava un + 0,4% e il rapporto debito pubblico/PIL era al 120,8% (fonte Istat). Ma ormai l’apparato eurocratico, ben appoggiato dall’ “interno”, aveva deciso che Berlusconi doveva cadere! Un grande quotidiano economico nazionale titolò: “Fate Presto!”. Il prof. Mario Monti, nominato non si sa per quali “altissimi meriti” senatore a vita, divenne Presidente del Consiglio dei Ministri di un Governo sostenuto da una maggioranza parlamentare bi-partisan che più di una volta – sotto il ricatto/imbroglio dello spread – votò misure che non avrebbero mai dovuto trovare asilo in una Repubblica democratica che, per Costituzione, è fondata sul lavoro. Da allora il nostro Paese ha avuto ben tre Presidenti del Consiglio (Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi) macchiati dal “peccato originale”, cioè senza alcuna legittimazione democratica scaturente da elezioni politiche.
Vediamo qualche dato economico post novembre 2011 (fonte Istat): PIL anno 2012 -2,4%; PIL anno 2013 -1,9%; PIL anno 2014 -0,4%, con i dati sulla disoccupazione che sono un continuo “bollettino di guerra”: a marzo 2015 il tasso di disoccupazione è nuovamente cresciuto toccando quota 13%, mentre quello giovanile è al 43,1%.
Dormi popolo, dormi… corri pure a fare la fila per l’ultimo modello di telefonino!
Giuseppe Palma