Ennesimo oltraggio all’Italia: il corpo di Lo Porto non si trova, forse sepolto con rito arabo

Gli Stati Uniti sulla morte di Giovanni Lo Porto devono ancora spiegare molte cose. Bisogna recuperare il corpo del cooperante italiano, rapito nel 2012 in Pakistan e ucciso dai droni statunitensi durante lo strike del 28 gennaio scorso nella regione tribale di Shawal. Il nodo della questione, infatti, è proprio sui resti di Lo Porto, su cui non sarebbe stato eseguito nessun esame del Dna, perchè non è stato trovato un corpo.

LOPORTO

La certezza che in quel compound ci fossero altre persone oltre a quattro terroristi di Al Qaeda, è arrivata attraverso le attività di humint di servizi segreti del posto. Del corpo, però, non ci sarebbe al momento nessuna traccia e i nostri 007 non sapevano che l’ostaggio era stato spostato in quella zona.

Durante l’audizione di ieri al Copasir, il sottosegretario con delega all’intelligence, Marco Minniti, ha ricostruito la vicenda della morte di Giovanni Lo Porto, che mette pesantemente sotto accusa gli Stati Uniti. Se dall’audizione è emerso che i nostri servizi hanno fatto di tutto per riportare a casa il cooperante, quanto accaduto durante il raid che lo ha ucciso nasconde ancora profili oscuri.

Alcune delle informazioni fornite da Minniti, infatti, sono state secretate, «perché – ha spiegato Giacomo Stucchi, presidente del Copasir – Si tratta di informazioni altamente classificate, che il governo può rendere pubbliche solo nel momento in cui ci sarà la possibilità di farlo anche perché sono frutto in parte della collaborazione con altri servizi».

Per capire cosa è accaduto il 28 gennaio, però, bisogna fare un passo indietro. Gli Stati Uniti ottengono informazioni attendibili secondo le quali nel compound si trovavano Ahmed Farouq, cittadino statunitense leader di Al Qaeda, e Adam Gadahn, altro americano divenuto un importante esponente del gruppo terroristico.

La missione era urgente, perché proprio i due, secondo l’intelligente americana, stavano progettando un attentato negli Stati Uniti. Ancora più importante, però, era la soffiata secondo cui Abu Basir, il numero due di Al Qaeda, si trovava all’interno del sorvegliatissimo bunker. Quindi si è deciso di colpire con i droni. Dopo l’attacco, però, è stato subito chiaro che dentro il compound c’erano anche altre persone.

Dalle prime informazioni gli Usa scoprono che erano stati uccisi due stranieri. I corpi, però, sarebbero scomparsi quasi subito, forse seppelliti con rito arabo. La ricerca di notizie affidabili non era facile, ed è stato necessario affidarsi a 007 di altri Paesi. Alla fine, il 22 aprile scorso, i servizi segreti Usa hanno avuto la ì ragionevole certezza che in quel bunker, oltre ai terroristi, erano presenti anche il cooperante italiano Giovanni Lo Porto e l’ostaggio americano Warren Weinstein. La notizia, forse, è arrivata proprio dalle attività di intelligence pakistane. E gli 007 italiani, che stavano lavorando per liberare l’ostaggio, ad ottobre avrebbero perso le tracce di Lo Porto, nel frattempo spostato nel bunker con i terroristi.

«Più di una volta in questi tre anni si è pensato di essere vicini ad una soluzione positiva dell’evento – ha detto Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir – Il governo ha ribadito che farà di tutto per dare seguito alle richieste dei familiari di riportare il corpo di Lo Porto in Italia e darà risposte pubbliche che oggi non sono possibili a causa di secretazione da parte di Paesi esteri nostri alleati».

Francesca Musacchio  –  IL TEMPO