Alessandro Trasciatti
Avevo costruito un sogno
Casa editrice Ediesse
Fare il postino nelle campagne del Sud-Est della Francia di fine Ottocento, a Hauterives, nella Drôme, non era una passeggiata. O meglio, era una passeggiata che poteva allungarsi per decine di chilometri, da un paesino all’altro, con il sole o con la pioggia, portando a spalla un borsone pieno di lettere. Ma Ferdinand Cheval trovò il modo di sfuggire all’ossessione dei giorni sempre uguali e di passare alla storia. Nel 1879 iniziò la sua opera e in trent’anni, con 930.000 ore di lavoro, 1.000 metri cubi di mattoni e 3.500 sacchi di calce, innalzò il suo Palazzo Ideale, una costruzione astrusa, tutta grotte e gallerie, scalette, pinnacoli e terrazze; un palazzo assolutamente impossibile da abitare ma di una bellezza ingenua da lasciare senza fiato. Questo libro bizzarro, inconsueto e raro, quasi una biografia narrativa, ricostruisce con abilità le storie e le fatiche del nostro eccentrico personaggio attraverso registri diversi -narrazione tout court, memorialistica, diario di viaggio, persino invenzione romanzesca- che ne moltiplicano identità e immaginario. Alessandro Trasciatti rende così giustizia al portalettere artista, esempio di ostinata forza di volontà, amato da Breton -che gli dedicò una poesia e un fotomontaggio-, Max Ernst e altri surrealisti; citato da Claude Levi-Strauss in La pensée sauvage; caro persino a Pablo Picasso che realizzò un album con disegni a matita dove il messaggero Cheval, nella metamorfosi creativa, è ritratto metà cavallo e metà colomba che porta nel becco una lettera.
Alessandro Trasciatti è nato a Lucca nel 1965. Laureato in letteratura francese, ha collaborato a riviste di vario genere, come Poesia, Paragone, Gente Viaggi, e pubblicato diversi libri di narrativa: Prose per viaggiatori pendolari (Mobydick 2002), La via dell’orco (Trasciatti 2008), Il dottor Pistelli. Una vita in ritardo (Garfagnana 2013). Lavora alle Poste di Lucca.
INTERVISTA AD ALESSANDRO TRASCIATTI, MARTEDI’ 14 APRILE 2015 (a cura di Luca Balduzzi)
Chi era Ferdinand Cheval? E che cosa rappresentava per lui la costruzione del Palais Idéal?
Ferdinand Cheval era un postino di campagna, faceva ogni giorno più di trenta chilometri a piedi per consegnare le lettere e contemporaneamente raccoglieva sassi, era affascinato dalle forme naturali, dalle pietre levigate e lavorate dal tempo. Per lui il Palais Idéal era una rivincita sulla monotonia della vita, una dimostrazione che anche le persone semplici, di origini umili possono fare qualcosa di grande. Ma forse era anche una rivincita sulla morte, in una vita costellata di lutti, una grande affermazione vitale. In fondo, il Palais Idéal è un grande mausoleo, perché Cheval avrebbe voluto essere sepolto lì dentro, ma il Comune di Hauterives non gli dette il permesso. Lui stesso preparò, in una parte della costruzione, due sepolcri -uno per sé e uno per la moglie- in cui avrebbe dovuto essere seppellito come una specie di faraone.
Come è stato possibile, per un postino senza alcuna nozione di architettura e dei materiali da costruzione, realizzare un’opera di questo genere?
Cheval dice che in campagna tutti sono un po’ muratori, tutti cioè fanno lavoretti con calce e mattoni e anche lui non sfugge alla regola, ma questo è tutto quello che sa riguardo al costruire, lui è un autodidatta, un bricoleur, uno che procede alla giornata, senza un piano prestabilito, senza un progetto. A questo proposito è rimasto un disegno, di mano di Cheval, che raffigura il Palais; è un bel disegno, ma molto ingenuo e molto lontano da come sarà la costruzione finita, non può essere considerato un progetto.
La costruzione del Palais Idéal comincia prima di quella della Sagrada Familia di Antoni Gaudì, e prima della nascita “ufficiale” del movimento surrealista… Cheval si potrebbe considerare come un loro precursore?
Non so se sia corretto dire che Cheval fu un precursore di Gaudì. E’ vero che Cheval iniziò il Palais Idéal quattro anni prima che Gaudì mettesse mano alla Sagrada Familia, ma Gaudì era già attivo da anni. Diciamo che sono costruzioni che riflettono lo spirito del tempo, il fascino per le forme naturali, la passione per le decorazioni, la tendenza all’eclettismo. Di certo i due artisti non si conoscevano e le analogie tra i loro lavori sono interessanti anche per questo. Quanto ai surrealisti, la distanza temporale è ancora più marcata. Il movimento di Breton nasce ufficialmente nel 1924, anno in cui muore Cheval. Si può forse dire che Cheval fosse un “surrealista involontario”, perché indubbiamente la sua opera è tutta all’insegna di una poetica degli accostamenti incongrui, eterogenei, come quella dei surrealisti, ma senza che l’autore ne abbia piena coscienza, senza che ci sia in una volontà esplicita di creare un’opera surreale.
Come è cambiato, con il passare degli anni, il modo in cui gli abitanti di Hauterives hanno guardato (e giudicato) il proprio compaesano e la sua opera?
Cheval inizialmente veniva considerato il “matto del villaggio”, i suoi compaesani non avevano grande stima di lui, fatte salve alcune eccezioni. Le cose iniziarono a cambiare quando la sua realizzazione inclassificabile cominciò ad attirare la curiosità dei turisti. Uscirono molti articoli di giornale, anche a Parigi e la fama di Cheval si propagò rapidamente. Lui stesso racconta che iniziò a far pagare il biglietto per visitare il Palais e, a un certo punto, dovette assumere una persona che facesse da guida perché, da solo, non riusciva più a seguire tutti i visitatori. Adesso si può dire che il paese di Hauterives viva intorno al Palais Idéal. Sono molto organizzati, per entrare si paga il biglietto, c’è un bookshop molto fornito di ogni sorta di libri e di gadget chevaliani, tutto intorno è una fioritura di pub, pizzerie, caffè… ispirati a Cheval. E’ diventato un simbolo.
Ferdinand Cheval ha suscitato l’ammirazione di molti artisti e letterati di fama internazionale…
Sì, l’elenco è molto lungo… ricordo André Breton, Max Ernst, Pablo Picasso, Claude Lévi-Strauss. Credo che il fascino dell’opera di Cheval risieda nel suo carattere polisemantico, è un “testo” di pietra che si presta a un’infinità di interpretazioni e che sollecita enormemente la fantasia di chi lo guarda. E poi non lo si guarda e basta, ci si gira intorno, ci si sale sopra, ci si entra dentro… i bambini lo usano come parco giochi. E’ una fonte inesausta di divertimento e di senso.
Che cosa l’ha colpita maggiormente del Palais Idéal?
Certamente mi ha colpito lo sforzo titanico di un uomo solitario, la sua volontà cocciuta di realizzare qualcosa di grande. Ma anche la sua grande visionarietà, la sua capacità di creare qualcosa di assolutamente inedito, bizzarro, onirico. E’ un’opera di grande impatto emotivo, un’opera che non si finisce mai di osservare e che è impossibile abbracciare con un solo sguardo, più la si guarda e più si scoprono dettagli, cose che a prima vista sfuggono, è un grande caleidoscopio di pietra.