“A sette anni dal crollo di Lehman Brothers, l’andamento economico dell’eurozona non solo non e’ ancora tornato ai livelli del 2008, ma si presenta in condizioni pietose: 18 milioni di europei disoccupati cercano un lavoro e le prospettive di crescita sono quantomeno mediocri, per non dire nulle”.
“Le classi dirigenti europee sono sotto pressione per rilanciare l’economia continentale, eppure – scrive il chief economist di Allianz Se, Michael Heise, sul “Wall Street Journal” – persino produrre una diagnosi condivisa del problema pare oltre la loro portata”.
Il malessere europeo, spiega Heise, non e’ solo l’effetto della crisi del 2008, ma il sintomo di un male piu’ profondo: un mix di declino, scarsa produttivita’ e diseguaglianze crescenti, eccesso di dirigismo e soprattutto tassazione che hanno depresso la domanda nelle economie “ricche” del pianeta.
Di fronte a problemi di questo tipo, spiega l’economista, risposte come l’alleggerimento quantitativo della Bce e la compressione dei tassi di interesse reali in territorio negativo rischiano di essere un mero palliativo, se non addirittura di aggravare il problema nel medio e lungo periodo.
L’esperienza recente dimostra che le politiche monetarie accomodanti e le politiche fiscali espansive sostenute da costi di finanziamento ultra-bassi non bastano, al di la’ di effetti momentanei, a rilanciare e sostenere la domanda.
In gioco ci sono altri fattori: la disoccupazione dell’eurozona all’11 per cento, ad esempio, e le conseguenti preoccupazioni per il futuro: “Anziche’ stimolare la domanda, gli attuali tassi di interesse prossimi allo zero rendono quasi impossibile accumulare ricchezza per la vecchiaia senza incorrere in paurosi livelli di rischio”.
E’ per questa ragione che nonostante la stagnazione dei redditi, l’aumento della tassazione sui risparmi e il calo dei tassi di interesse, le famiglie non accennano a ridurre la loro propensione al risparmio: perchè hanno giustamente paura del futuro.
E purtroppo, “lo scenario appare simile sul fronte delle imprese”: il business dell’eurozona e’ paralizzato dall’incertezza delle prospettive macroeconomiche e dai rischi geopolitici, e per questo stenta a investire: iniettare liquidita’ nel sistema creditizio, sottolinea Heise, non serve a nulla, se a mancare non e’ l’offerta ma la domanda di credito.
Peggio farebbe un ulteriore inasprimento fiscale, che in molti paesi dell’eurozona appare insostenibile gia’ ai suoi livelli attuali. L’unica opzione che resta e’ di aggredire il problema alla radice: per promuovere la crescita, i governi devono “migliorare l’ambiente degli investimenti” tramite incentivi fiscali, una regolamentazione piu’ snella e politiche di sostegno all’innovazione. In sintesi: tagliare radicalmente le tasse senza distruggere lo stato sociale.
Le esperienze passate, quelle scandinave ad esempio, dimostrano che “un costante consolidamento della riduzione fiscale, unito a riforme per la crescita, stimolano la fiducia e rilanciano gradualmente la domanda”. Tuttavia, l’Unione europea non marcia verso questa direzione, ma putroppo in quella opposta.
Redazione Milano. IL NORD