Rabbia della Guardia Costiera: “Noi a mani nude contro scafisti armati di mitra”

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Pomeriggio del primo febbraio, Porto Empedocle. Il comandante della Capitaneria, Massimo Di Marco, viene aggredito nel piazzale dopo il sequestro di un peschereccio. Mentre sul posto accorrono agenti e carabinieri, chiamati dal personale, Di Marco è trasferito al pronto soccorso dell’ospedale «San Giovanni di Dio» di Agrigento per le escoriazioni riportate. Lui e i suoi uomini erano disarmati.

Mattina del 15 febbraio, 50 miglia dalle coste libiche. Gli uomini della Guardia costiera a bordo di una motovedetta «classe 300» stanno soccorrendo 130 migranti alla deriva su un gommone. Improvvisamente, un piccolo ma veloce motoscafo si avvicina e uno degli occupanti spara un paio di raffiche di kalashikov a pelo d’acqua, a pochi metri dalla motovedetta. Gli scafisti rivogliono il gommone e minacciano con i mitra i militari che, anche in questo caso, sono del tutto inermi: non hanno neppure la Beretta calibro 9 d’ordinanza. Nelle missioni SAR (acronimo inglese per ricerca e soccorso), infatti, sono quasi sempre privi di armamento.

Due episodi che, di fronte al crescente afflusso di immigrati dal Nordafrica e alle minacce dell’Isis di sbarcare a Lampedusa per conquistare l’Italia, suscitano una comprensibile preoccupazione. Soprattutto negli uomini che combattono in prima linea l’ormai quotidiana battaglia nel Canale di Sicilia. Per questo il Cocer della Guardia Costiera chiede che ai militari del Corpo venga concesso lo status di Forza di Polizia e, ovviamente, il relativo armamento (e addestramento).

«Il Comando Generale ha cercato di dare una risposta e negli anni 2008/2010 con l’ammiraglio Pollastrini, che disciplinò con una circolare l’uso delle armi di reparto, ma a determinate condizioni e in casi circoscritti – spiega il maresciallo Antonello Ciavarelli, delegato del Cocer – Tale circolare al personale non basta più». Lo stesso ministro delle Infrastrutture, sottolinea Ciavarelli, ha ammesso che «il rischio è elevato». Per questo, «facendosi portavoce delle preoccupazioni del personale – continua il maresciallo – è stato votato all’unanimità un documento» per vedere «riconosciuto lo status di Polizia». A tale scopo è stata chiesta un’audizione alle competenti commissioni di Camera e Senato e al ministro Lupi. Inoltre, la Guardia costiera controlla 8.000 chilometri di coste e i suoi 10.000 uomini potrebbero riempire i vuoti di organico delle forze dell’ordine (-18.000 unità). Che cosa sarebbe successo, infine, se il 15 febbraio i militari fossero stati feriti o sequestrati?

Maurizio Gallo –  IL TEMPO