di Giuseppe Cirillo – Hescaton
L’ISIS, l’organizzazione terroristica che con il nome di Califfato Islamico o di Stato Islamico, sta espandendo sempre più i territori sotto il suo dominio in Siria, Iraq ed ora in Libia, senza contare i loro alleati di Boko Haram in Nigeria, sembra stia puntando i propri occhi sulle immense terre dell’Asia Centrale ed ora vedremo nel dettaglio la situazione.
Come ben sappiamo, nel cuore dell’Asia Centrale, c’è l’Afghanistan, che dopo quattordici anni di guerra, è ancora un paese diviso e distrutto, con i Talebani ancora presenti e che nell’ultimo periodo del 2014 ed inizio 2015 hanno intensificato ancora di più le proprie azioni contro l’esercito regolare. Ora, tra quest’anno e il prossimo, assisteremo probabilmente al completo ritiro dell’esercito statunitense, ma il paese rischia seriamente di finire come l’Iraq, che dopo il ritiro americano, è finito nella mani dello Stato Islamico. In Afghanistan la situazione potrebbe sembrare un tantino diversa, dato che i Talebani sembrano voler rimanere qualcosa di indipendente dall’ISIS, ma notizia proprio di pochi giorni fa, sembra che parte dei comandanti talebani, abbia deciso di allearsi attraverso l’organizzazione pakistana Jundallah, con lo Stato Islamico con l’obiettivo di autoproclamare in quei territori tra Iran, Afghanistan e Pakistan un Califfato fedele ad Al-Baghdadi, sull’esempio di quello successo in Libia. Territorio di cui già lo Stato Islamico ha denominato il nome, cioè Khorasan e l’emiro cioè l’ex capo del TTP Hafiz Saeed Khan.
Detto questo, non è assolutamente detto che l’ISIS riesca ad assumere direttamente il controllo di queste zone, data la forte presenza talebana che per ora non sembra volersi piegare al Califfo, è probabile però l’istituzione di califfati paralleli uno dell’ISIS e uno talebano sotto l’eroico e famoso Mullah Omar. Quindi è probabile anche uno scontro tra le due fazioni estremiste, sempre che i poteri forti dietro questi non riescano a comprare la maggioranza dei capi talebani e farli unire allo Stato Islamico. In qualsiasi caso, l’Afghanistan sembra destinato ad essere la base da cui possono partire jihadisti per tutta l’Asia Centrale.
Parliamo, ora, degli altri stati centroasiatici. Essi sono tutti musulmani e sono retti da autocrazie post-sovietiche, molto simili all’Egitto ed alla Libia pre Primavera Araba. Ed abbiamo visto che, dove il potere è concentrato, è molto facile sostituirlo rapidamente una volta che questo crolla. A nostro avviso è probabile un intensificarsi delle azioni jihadiste in questi paesi, soprattutto alle luce del fatto che moltissimi combattenti ora tra le fila dello Stato Islamico, provengono proprio da lì. Ora li analizzeremo tutti, ma partiamo dal più interessante e potenzialmente esplosivo, l’Uzbekistan.
In un nostro articolo, ne avevamo già parlato, ma ora il rischio che l’Uzbekistan salti, si fa sempre più reale. Il presidente-dittatore Islom Karimov, è sempre al potere e l’opposizione lo da per morto o in coma, un giorno si e l’altro pure, ma lui dimostra ogni volta di essere ancora vivo. Le elezioni presidenziali sono state fissate a marzo e la rielezione di Karimov è scontata, anche se illegale, dato che la costituzione uzbeka fissa al massimo a due , i mandati presidenziali. Non è esclusa quindi la possibilità di un’improvvisa e inaspettata primavera uzbeka, dato anche il crescente malcontento per lo sfruttamento minorile nella raccolta dell’oro bianco uzbeko, cioè il cotone e il ritorno di molto uzbeki dalla Russia, che saranno gettati nella miseria della disoccupazione. Se a questo aggiungiamo l’alleanza tra i territoristi dell’IMU (Islamic Movement of Uzbekistan) e l’ISIS, la situazione potrebbe presto degenerare.
Altro paese a rischio, è il Kazakistan, che pur essendo alleato della Russia, è stretto tra i crescenti scontri tribali tra le centinaia di etnie diverse presenti nel paese e l’aggressività panrussa del suo ingombrante alleato. A tutto ciò si somma, una valuta in caduta libera, un’economia che risente fortemente dei problemi della Russia e un crescente malcontento popolare proprio a causa della congiuntura economica. Malcontento che da motivi economici passa facilmente a motivazioni politiche, dove anche qua vediamo un’autocrazia che calpesta senza problemi le norme democratiche. Kazakistan che è anche sottoposto ad una campagna di reclutamento jihadista e che ha subito recentemente minacce dirette, con video in cui sono stati mostrati decine di bambini kazaki mentre ricevono addestramento militare da parte dei miliziani dell’ISIS. Anche qui, ad aprile avremo le elezioni-farsa che confermeranno il presidente Nazarbayev per l’ennesima volta. Non escludiamo possibili moti di protesta soprattutto se le condizioni economiche dovessero peggiorare o se proteste simili dovessero iniziare in Uzbekistan.
Il Kirghizistan, altro paese musulmano centroasiatico, è quello effettivamente messo peggio e con una forte presenza dell’integralismo islamico. Infatti, il paese è stato scosso da forti proteste contro le ultime vignette di Charlie Hebdo. La disoccupazione, i recenti scontri della primavera del 2010, l’aumento della tensione etnica tra kirghisi, uzbeki e tagiki, possono fare di questo paese il potenzialmente più pericoloso dell’area, contando che moltissimi jihadisti provengono da questi territori e che sembrerebbe che molti stiano ritornando in patria addestrati e pronti a compiere attentati ed attacchi.
Il Tagikistan similmente al Kirghizistan è un paese povero, che sta subendo la crisi economica della Russia con il calo delle rimesse dei lavoratori tagiki. Proprio nella giornata odierna, si svolgeranno le elezioni, scontata la vittoria del partito al governo che ha usato qualsiasi mezzo per danneggiare e impedire alle opposizioni di partecipare regolarmente alla tornata elettorale. Anche in questo caso non sono esclusi moti di protesta nel breve-medio periodo, considerando, tra l’altro, che il paese vorrebbe sganciarsi dal dollaro e assumere come valuta di riferimento lo Yuan cinese, cosa che come sappiamo, spinge CIA e company a compiere azioni destabilizzanti. A questo proposito segnaliamo l’allarme delle guardie di frontiera tagike al confine con l’Afghanistan, che parlano di ammassamento di truppe, probabilmente dell’IMU, dei Talebani e dell’ISIS, che potrebbero presto presentare una minaccia per il paese che non ha abbastanza risorse per fronteggiare un attacco su vasta scala.
Il Turkmenistan, essendo un paese vicino alla Turchia e con un governo abbastanza lontano da Mosca, e con un sentimento religioso meno importante che negli altri paesi, potrebbe non essere coinvolto direttamente in una destabilizzazione fondamentalista, almeno non in un primo momento.
Situazione molto pericolosa in Pakistan, da tempo paese sottoposto all’estremismo islamico ed a feroci attentati. Questo è stato anche recentemente scosso da un tentativo di primavera democratica e da forti proteste antigovernative. In Pakistan esistono due aree praticamente in mano agli estremisti islamici, il Waziristan, al confine con l’Afghanistan, sotto il controllo delle tribù filo-talebane e il Belucistan, territorio con velleità indipendentiste, dove proprio di recente si stima una forte attività di reclutamento da parte dell’ISIS che avrebbe già in loco 12000 uomini. Il Belucistan è molto importante perché si estende anche a parte dell’Afghanistan e all’Iran. Nel Belucistan iraniano vive la totalità della minoranza sunnita presente nel paese. A nostro avviso è probabile che il Pakistan sia presto scosso da forti scontri sociali e da una nuova scia di attentati. Se l’esercito dovesse riprendere il controllo come in passato, una guerra civile potrebbe essere imminente. La pericolosità di questo paese è data dal fatto che è un paese nucleare, se nel caos, questi ordigni o anche semplicemente materiale radioattivo, dovessero finire nelle mani sbagliare, le conseguenze potrebbero essere terribili per tutti.
Per quanto riguarda l’Iran, essendo un paese totalmente sciita, difficilmente lo Stato Islamico potrebbe infiltrarsi se non nell’aerea sunnita del Belucistan ed attualmente l’Iran è troppo forte per lasciare il minimo spazio ai jihadisti. Le cose potrebbero però cambiare se il prezzo del petrolio tornasse a scendere, se, quindi, l’economia iniziasse a contrarsi e se dovessero presentarsi nuovi moti di piazza. A nostro avviso, però, il principale fattore destabilizzante per l’Iran, potrebbero essere una guerra aperta con Israele.
Abbiamo, quindi, fatto il quadro della situazione. Ricapitolando sosteniamo la tesi che l’Asia Centrale potrebbe presto rivelarsi un territorio ideale di espansione dello Stato Islamico per i seguenti motivi:
1) La probabile ulteriore destabilizzazione dell’Afghanistan in seguito al complemento del ritiro statunitense (tipo Iraq).
2) La presenza di governi dittatoriali e quindi la possibilità di rivoluzioni democratiche, anche pilotate (stile Ucraina, Egitto).
3) L’inizio di una fase di rallentamento economico, dovuta alla crisi della Russia e quindi il conseguente aumento della disoccupazione.
4) La presenza e l’incremento di forti rivalità etniche all’interno di ognuno di questi paesi.
5) Il ritorno di migliaia di jihadisti unitisi all’ISIS.
6) Ultimo, ma probabilmente non il meno importante, l’utilità strategica per gli USA di creare un’immensa aerea di fondamentalismo islamico, grande dieci volte l’Afghanistan che creerebbe pressioni al lunghissimo confine con la Russia, si collegherebbe ai fondamentalisti Uiguri in Cina e al Kashmir indiano, dove da sempre gli islamici combattono per l’indipendenza. Quindi un piano del genere servirebbe per colpire indirettamente tre dei cinque BRICS, praticamente i più importanti, dato che direttamente è impossibile colpirli. Se questi dovessero impegnarsi in degli interventi militari diretti troverebbero un immenso Vietnam, senza contare la possibilità di feroci attentati interni, con tutte le conseguenze destabilizzanti del caso.
Concludiamo dicendo che i prossimi mesi, saranno importanti per capire se effettivamente ci sarà l’inizio della campagna in Asia Centrale del Califfato o se quest’ultimo ha già esaurito il suo compito e la sua espansione (ipotesi meno probabile a nostro avviso)
Operazione ISIS, obiettivo Cina
La Nato si prepara a utilizzare ISIS contro Mosca e Pechino
ISIS: demolire la Siria e poi far esplodere il Caucaso russo