Nel 2008 Samantha Elauf fa un colloquio con Abercrombie & Fitch.
Come scrive il giornale, la posizione è di addetta alle vendite nel negozio di Tulsa, in Oklahoma. Samantha ha 17 anni e aspira a fare la modella. Tanto che si propone di entrare nella squadra di ragazzi e ragazze immagine. Nonostante l’ottima impressione fatta sul manager, la ragazza non va bene: viene scartata sulla base della look policy perché indossa il hijab, il velo islamico indossato delle musulmane. Il “no” del colosso dell’abbigliamento ha scatenato Elauf che ha portato il caso sin davanti alla Corte suprema americana.
Il velo, così come i cappelli e gli orecchini vistosi, è contro alle rigidissime regole imposte da Abercrombie & Fitch ai dipendenti che in tutti i negozi vestono sempre allo stesso modo. Una regola che vale in America come in Italia. Niente a che fare col razzismo, insomma.
Eppure Elauf non lo accetta e si rivolge all’Equal Employment Opportunity Commission, l’organismo che negli Stati Uniti vigila sulle pari opportunità sui posti di lavoro. In primo grado vince. La corte accusa la società di averla discriminata. In secondo grado, però la sentenza viene ribaltata: durante il colloquio Elauf non ha fatto cenno alla necessità di indossare l’hijab per motivi religiosi e per questo motivo non era protetta dal Civil Rights Act del 1964.
La sentenza della Corte d’Appello viene, quindi, impugnata dall’Equal Employment Opportunity Commission che torna ad accusare Abercrombie & Fitch di essere una società che discrimina i lavoratori. Adesso il caso approda alla Corte suprema.
forse sarà poi stata inserita con le schiave dell isis cosi non può più dire che è razzismo