Se il nuovo mito virgineo travestito da marziano puo’ prendere i soldi di Buzzi

marino

 

10 dic – “Davvero non riesco a capire”, esordisce Mario Adinolfi. “Mi spiegano tutti che Roma non può essere commissariata, che “non ci sono le condizioni giuridiche”, che la “politica deve dare una risposta forte”, nel Pd qualche idiota ha detto che vuole il congresso. Il congresso? Quello con le tessere comprate dai capibastone e regalate agli sconosciuti? Quello che quando il tesseramento è ordinario si fanno mille iscritti e quando appunto c’è il congresso diventano ottomila? Quelli dei circoli fasulli e dei circoli dove circolano dentro solo fantasmi? Fenomeni veri questi qua. Roma è marcia.

Tutti a rincorrere il nuovo mito del male e a chiamarlo Carminati, tutti a rincorrere il nuovo mito vestiti da gangster e a chiamarlo Buzzi, tutti a rincorrere il nuovo mito virgineo travestito da marziano e a chiamarlo Ignazio Marino. Che poi Buzzi ha pagato trentamila euro per la campagna elettorale a Marino e io campagne elettorali ne ho fatte, se qualcuno mi avesse dato trentamila euro mi sarei chiesto: che vorrà in cambio? Marino no. Non sapeva. Forse dormiva. Diceva di non aver mai parlato con Buzzi, poi s’è scoperto che non solo ci parlava ma aveva anche promesso alla cooperativa 29 giugno il primo stipendio da sindaco. Promessa non mantenuta, peraltro: “Me ne sono scordato”, ha detto candido il primo cittadino della città marcia.

Ho detto in tv – prosegue Adinolfi – in qualche trasmissione che è evidente che Roma va sciolta per infiltrazioni mafiose. Ma come? Buzzi ha pagato la campagna elettorale del sindaco, nelle intercettazioni si parla anche del modo con cui sono state influenzate le primarie, undici consiglieri comunali sono citati a libro paga, il presidente del consiglio comunale s’è dovuto dimettere travolto dalle accuse, stessa cosa un assessore, travolto pure l’ex sindaco e buona parte del suo entourage, pure l’entourage del sindaco precedente all’ex sindaco è nei guai nonostante il cognome finto francese, la delegittimazione è colossale.

Rossi e neri sono tutti uguali, siamo in un film di Alberto Sordi. E sullo sfondo il marciume si prende tutto e tutti, le decine di migliaia di dipendenti entrati a chiamata diretta quindi perché amici degli amici, che hanno contribuito a creare il buco spaventoso delle municipalizzate: un miliardo l’Ama, un miliardo e mezzo l’Atac. Denari pubblici, spesa pubblica, posti di lavoro inventati per far nulla e comprarsi consenso. Novemila dei dodicimila dipendenti Ama stanno in ufficio, mica lavorano per tenere pulita la città, che infatti è sporca, sporchissima. Marcia.

E ancora marciume nel sociale, nell’accoglienza agli immigrati, nella gestione dei campi rom, nel tessuto imprenditoriale, nella dimensione commerciale con centinaia e centinaia di locali e negozi in mano a questa piovra che non è mafia, è indifferenza morale totale. Marciume nel giornalismo capitolino, che non raccontava nulla, teneva bordone a questo o a quell’interesse. Non esisteva alcun contropotere rispetto al potere marcio di una città marcia. Nessun sussulto. Avessimo avuto ognuno di noi un Buzzi o un Carminati che c’avessero promesso i tanti soldi garantiti a un Panzironi o a un Odevaine, ci saremmo comportati da Panzironi e da Odevaine, sognando valigie di contanti da portare in Argentina, tanto era così facile ottenerne usando i quattrini della spesa pubblica.

E poi ci si chiedeva perché i romani pagano l’addizionale Irpef più alta d’Italia. Ve lo chiedete ancora? In questa Capitale corrotta il Pd non vuole il commissariamento perché poi sarebbe costretto ad andare alle elezioni candidando Ignazio Marino, che ha subito eletto a “argine del malaffare” in spregio ai trentamila euro presi senza domande da Buzzi. E Marino perderebbe, lo sanno. E’ un sindaco antipopolare, attento alla recita da mettere in scena, non alla sostanza del governo di una città maledetta e complessa come Roma.

Adesso l’idea è “coinvolgere pure le opposizioni” in giunta, così la notte diventa quella in cui tutte le vacche sono nere. E qualcuno, anche a destra, spera di rimediare nel disastro uno spicchietto di potere. Invece bisogna voltare decisamente pagina con una nomina commissariale e una sospensione della vita partitica e democratica. Perché i partiti capitolini vanno semplicemente buttati al macero.

Questa città è così bella – conclude Adinolfi – che bisognerebbe camminare inginocchiati, pure quando stai imbottigliato nel traffico magari allunghi l’occhio e vedi la Cupola più commovente del mondo e invece viene da piangere a pensare che tutto sprofonda in una melma di cricche, cupoline e cupolette paramafiose a cui pochi possono dirsi estranei. In questa città di 62mila dipendenti dalle casse del Campidoglio, mezzo milione di impiegati pubblici complessivi, l’idea di far pagare Pantalone è connaturata. Accordarsi per spolpare prima la città e poi l’Italia è la principale attività, fregare il prossimo è sport cittadino, alzare le spalle e essere indifferenti è la corazza con cui quasi tutti si difendono. Serve un choc. Serve fermare il lento scorrere delle cose, perché a Roma le cose stanno scorrendo verso il baratro, se non vi sono sprofondate già”.