Vittime del comunismo: don Miroslav Bulešić

Il ricordo del sacerdote Miroslav Bulešić (1920 – 1947) martirizzato dai comunisti titini in Istria, una delle innumerevoli vittime del comunismo dimenticate dalla storiografia ufficiale.

prete-ucciso

 

(…) PARROCO A BADERNA
Nell’ autunno del 1943 Bulešić viene nominato parroco di Baderna. In questa parrocchia, nei due anni seguenti si dedica con grande impegno al ministero pastorale e, nello stesso tempo, s’interessa con grande coraggio e senza risparmiarsi per coloro che nell’infuriare della guerra erano maggiormente esposti. Nel mese di maggio del 1944 scrive cosi al rev. Ivan Pavić: “Tra il popolo afflitto e sanguinante noi dobbiamo essere come il buon Samaritano: consolare, curare, sollevare, fasciare ogni ferita…” Nel territorio di Parenzo, come in tutta l’Istria, operavano allora tre eserciti: i partigiani, i fascisti (la Rsi, ndr) ed i Tedeschi. In tutto questo tempo pieno di odio il rev. Bulešić manifesto un vero amore per la propria patria, ma senza compromettere l’universalità e la coerenza del sacerdote cattolico, vedendo in ogni uomo, qualunque fosse la sua divisa militare, l’immagine di Dio, come egli stesso si esprime: “Io sono un sacerdote cattolico ed amministrerò i santi sacramenti a tutti coloro che me li richiederanno: ai Croati, ai Tedeschi, agli Italiani“. A causa di questo suo atteggiamento deciso e coerente, Bulešić viene minacciato da varie parti ed egli nella primavera del 1944, in un’annotazione nel suo diario personale, si rivolge cosi a Dio: “Se vuoi che venga a Te, ecco mi pronto. Ti offro tutta la mia vita per il mio gregge. Confidando nelle Tua grazia e se Tu me ne renderai degno, non temo il martirio, anzi lo desidero ardentemente. Sia fatta la Tua volonta“. Poi, come se avesse il presentimento che anche il suo sacrificio potrebbe essere interpretato erroneamente, egli stesso spiega per che cosa e disposto a sacrificare la vita: “Desidero morire soltanto per la gloria di Dio e per la salvezza dell’anima mia e delle anime dei miei fedeli“. Ai propri nemici e persecutori manda questo messaggio: “La mia vendetta è il perdono“. Mentre le accuse e le calunnie diventavano sempre più frequenti, Bulešić, il giorno di Natale 1944 nell’omelia dice apertamente ai propri parrocchiani: ” Non ho paura di nulla perchè so di fare in tutto il mio dovere, e sono tranquillo di fronte a Dio e di fronte agli uomini. Sappiate che io conserverò sempre la mia fede e la mia onesta, che non tradirò per nessuna cosa al mondo; senza paura diro a ciascuno quello che e giusto. Mi atterro sempre a questi principi che sono i principi di Cristo. La sua strada sarà anche la mia strada“. Alla fine della guerra Bulešić si trovava a Baderna, ma già nell’autunno del 1945 viene nominato parroco di Kanfanar.

PARROCO A KANFANAR
Pieno di zelo e con instancabile impegno, Miroslav Bulešić cercava di far progredire spiritualmente la propria nuova parrocchia insegnando regolarmente il catechismo nella scuola, con le conferenze per le varie categorie, le riunioni per la gioventù, propagando la devozione verso il Cuore di Gesù e di Maria, organizzando la missione e con altre iniziative, superando tenacemente i tranelli dell’ateismo militante. (…) Opponendosi alla perniciosa glorificazione del partito comunista e alla divinizzazione programmata del “capo della rivoluzione“, Bulešić, il Venerdi Santo del 1946 proclama coraggiosamente dal pulpito della chiesa parrocchiale: “Gesù Cristo crocifisso e il nostro Dio ed il nostro Re. La Chiesa e la nostra Madre. La fede e la salvezza delle nostre anime, la nostra piu grande ricchezza, una cosa sacra”. Nonostante la sua chiara esigenza, specialmente nelle questioni riguardanti la fede e la morale, Bulešić era stimato dai fedeli che lo ascoltavano volentieri. Questo, naturalmente, non piaceva alle autorità comuniste. Perciò anche a Kanfanar iniziano le minacce. Avendo saputo per queste minacce, uno dei suoi parenti, preoccupato, cercava di convincerlo a rifugiarsi in Italia, ma Bulešić gli rispose: “In Italia ci sono sacerdoti a sufficienza. Qui bisogna rimanere“. Il parente replica: “E se qui ti uccidono?“ “Se mi uccidono, mi uccideranno per Dio e per la fede“, rispose Bulešić. Miroslav Bulešić rimase per poco tempo a Kanfanar. All’inizio dell’anno scolastico 1946/47 viene nominato vicerettore e professore nel Seminario Vescovile di Pazin. (…)

SUPERIORE IN SEMINARIO SEGRETARIO DELL’ASSOCIAZIONE SACERDOTALE
Nel Seminario di Pazin Bulešić si dedica con serietà, coscienza ed entusiasmo all’educazione delle prime generazioni di seminaristi. Nello stesso tempo, come segretario dell’Associazione sacerdotale di s. Paolo, si impegna con coraggio e tenacia per difendere la liberta della religione e dell’attività della Chiesa nel nuovo stato comunista. Inoltre, nell’ Associazione sacerdotale fa tutto il possibile per proteggere specialmente i sacerdoti più giovani dalle insidie del comunismo e preservare la stessa Associazione dalle subdole manipolazioni delle autorità di allora. A tale fine egli inpegna tutta la sua riputazione, la sua cultura e la sua esperienza, testimoniando anzitutto col proprio esempio: fedeltà ai principi cristiani, coraggio e coerenza. Considerando la situazione nella quale si trovava la Chiesa dell’Istria ed il suo clero, che venivano sottoposti ogni giorno di piu all’oppressione comunista, quando il vescovo di Parenzo e Pola Radossi abbandonava l’Istria ed il vescovo di Trieste e Capodistria Santin veniva apertamente minacciato, quando l’arcivescovo di Zagabria Alojzije Stepinac era in prigione a Lepoglava, Bulešić, nel suo intimo si preparava per il martirio. Ce lo testimonia il suo confratello, allora economo nel Seminario di Pazin, poi arcivescovo di Fiume, mons. Josip Pavlišić, che disse cosi il 23 agosto 1997 nella chiesa di Lanišće: “Tre mesi prima della sua morte, gli ultimi giorni della primavera del 1947, Miro Bulešić mi parlava del martirio bianco e del martirio rosso. Egli si preparava già al martirio“. Parlando ai seminaristi, come egli stesso annotava nel suo diario, in quei stessi giorni, diceva: “Essere sacerdote vuol dire essere martire“. All’inizio del mese di marzo 1947 il vicerettore Bulešić fece rimettere al suo posto, con canti e preghiere di tutto il Seminario, il grande crocifisso che un gruppo di 2giovani progressisti“ aveva sacrilegamente rimosso dall’atrio del Seminario vescovile. Verso la fine del mese di giugno 1947, rivolgendosi a Dio, annotava nel suo diario: “Io desidero, se questa e la Tua volontà, quanto prima venire da Te“. I suoi avversari certamente tenevano d’occhio il sacerdote, ancora giovane, ma stimato ed inflessibile, ed aspettavano il loro momento opportuno.

MARTIRE PER LA FEDE
Nel mese di agosto del 1947 Miroslav Bulešić, vicerettore del Seminario di Pazin e segretario dell’Associazione sacerdotale di s. Paolo, accompagna il delegato della Santa Sede mons. Jakob Ukmar per l’amministrazione della cresima a Buzet e nelle parrocchie circostanti. “In quei giorni quando andavo da una parrocchia all’altra per la cresima mi aiutava volentieri. Dove c’era sospetto di pericolo, egli andava avanti per controllare il terreno“ cosi si esprime nei riguardi del suo accompagnatore Bulešić il dr. Ukmar in una lettera inviata a mons. Mario Pavat a Roma il 5 settembre 1954. Sabato 23 agosto 1947 quando i comunisti, infuriati, irruppero nella chiesa parrocchiale di Buzet per impedire la cresima, Bulešić si e messo davanti al tabernacolo per difendere il ss. Sacramento. “Di qui potrete passare soltanto oltre me morto“ disse, col volto pallido, ma con voce chiara e decisa, stando sulla predella dell’altare, rivolto verso quelli che avevano invaso il presbiterio. Il giorno prima di andare a Lanišće, quando si facevano sentire gravi minacce da parte dei comunisti, ad una persona che gli aveva chiesto se avesse paura di andarvi, Miroslav Bulešić rispose: “Una volta soltanto si muore“. E si avvio a dare la propria testimonianza a Cristo ed alla sua Chiesa, in obbedienza alla Santa Sede, che nell’estate 1947 era rappresentata nell’Istria dal noto sacerdote di nazionalità slovena mons. Jakob Ukmar. La cresima si celebro a Lanišće la domenica 24 agosto 1947, festa di san Bartolomeo apostolo. Riguardo al martirio di Miroslav Bulešić, il dr. Ukmar, nella sua relazione ufficiale inviata alla Curia Vescovile di Trieste il 12 novembre 1947, si esprimeva cosi: “Terminata la cresima in chiesa e la messa che celebro il rev. Miroslav Bulešić, ci siamo avviati nella casa parrocchiale. Dopo un quarto d’ora, quando sono stati cresimati anche quelli che erano venuti più tardi – erano circa le undici – gli aggressori sono entrati nella casa ed hanno ucciso con un coltello il rev. Bulešić che si trovava vicino alla porta. Io in persona sono uscito dall’ufficio parrocchiale nell’atrio e l’ ho visto che giaceva morto, per terra, fra i malfattori che avevano occupato la casa; mi sono ritirato nella camera da letto, dove, poco dopo, sono stato gravemente malmenato e rimasi a giacere sul pavimento nel proprio sangue. Pensando che fossi morto, mi lasciarono cercando il parroco, ma non lo trovarono perché si era nascosto. Sono rimasto svenuto per venti ore…“ La morte di Bulešić fu provocata da alcune trafitture di coltello alla gola ed il suo sangue macchio il muro dell’atrio dell’ufficio parrocchiale. Secondo le dichiarazioni di testimoni oculari, Bulešić, sentendosi morire proferiva l’invocazione: “O Gesu, accogli l’anima mia!“ Le autorità di allora non permisero che questo coraggioso testimone della fede venisse seppellito nella sua parrocchia nativa di Svetvinčenat, ma imposero che si seppellisse a Lanišće. Appena nel 1958 fu possibile trasportare i suoi resti mortali nella parrocchia natale, dove furono deposti presso l’entrata principale della chiesa di s. Vincenzo martire, nel cimitero; da qui nel 2003 vennero trasportati nella chiesa parrocchiale, dove si trovano tuttora. Cosi concluse la sua vita terrena, come martire per la fede e la liberta d’azione della Chiesa … E, già nell’autunno 1947 il nunzio apostolico in Jugoslavija Joseph Hurley aveva detto ai superiori del Seminario di Pazin: “Con la morte di questo giovane sacerdote voi avete ricevuto più di quanto avete perduto, perchè avete ricevuto un santo, un martire“. (Lo stesso nunzio Hurley, nell’ottobre 1946 si era alzato in piedi e si era inchinato davanti all’arcivescovo Stepinac quando egli, in qualità di accusato, entrava nell’aula del tribunale comunista.) (…)

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