25 nov. – E’ passato con 316 si’ e 6 no il ‘Jobs act’ alla Camera. Ora il provvedimento passa al Senato.
Il bassissimo numero di voti contro si completa con l’uscita dall’Aula di una larga fetta delle opposizioni, e una nutrita pattuglia di deputati Pd, che hanno manifestato cosi’ il loro dissenso.
Segnalano che “l’impianto complessivo del provvedimento rimane non convincente” e mettono nero su bianco che “riteniamo non ci siano le condizioni per un nostro voto favorevole e non parteciperemo al voto finale sul provvedimento”. A dirlo sono i 29 Pd firmatari del documento ‘Perche’ non votiamo il Jobs act’. Questi i nomi dei dissenzienti: Agostini, Albini, Argentin, Bindi, Bray, Boccia, Carra, Capodicasa, Cenni, Cimbro, Cuperlo, D’Attorre, Farina, Fassina, Fontanelli, Fossati, Galli, Gregori, Iacono, Laforgia, Malisani, Miotto, Marzano, Mognato, Pollastrini, Rocchi, Terrosi, Zappulla, Zoggia.
“I diritti di chi lavora, i diritti di chi un lavoro lo cerca: alla fine di una discussione seria e che rispettiamo noi non possiamo votare a favore del jobs act”, si legge nel testo dei 29.
“Abbiamo apprezzato l’impegno della Commissione lavoro della Camera e riconosciuto i passi avanti compiuti su singole norme”, ma l’impianto della delega “resta non convincente”.
“Si cancella la possibilita’ del reintegro per chi viene licenziato senza giustificato motivo mentre si prevede un canale per specifiche e ancora indefinite, fattispecie di violazioni disciplinari”, spiegano.
“Una soluzione che penalizza i nuovi assunti, in una logica dove la mancanza a una scadenza certa, dopo ad esempio tre anni, di una tutela piena e’ in contraddizione con il concetto stesso di ‘tutela crescente'”.
“Ci preoccupa il cedimento culturale dall’idea che la liberta’ di impresa coincida con i vincoli da abolire per consentire finalmente il ‘diritto di licenziare'” E ancora: incertezza del contenuto dei decreti attuativi , e’ la denuncia, mentre e’ generica e senza risorse la parte che dovrebbe allargare diritti e tutele. Alla riforma delle politiche attive e passive per il lavoro, l’avvio degli ammortizzatori sociali per gli ‘esclusi’, “cardine del provvedimento, si dedicano solo 200 milioni di euro di fronte alla promessa dote iniziale di 1,5 miliardi per il 2015”.
La bocciatura dei 5 stelle “Col voto finale sul Jobs Act, Matteo Renzi condanna a morte i lavoratori italiani. Il Jobs Act riduce i diritti, riduce in schiavitu'”. Cosi’ il Movimento 5 stelle boccia la legge delega sul mercato del lavoro e lo fa in una conferenza stampa ‘bendata’. I deputati Claudio Cominardi e Tiziana Ciprini, insieme al capogruppo M5S al Senato, Alberto Airola, hanno tenuto infatti parte della conferenza stampa con gli occhi bendati da un fazzoletto bianco con la scritta ‘licenziAct’. Perche’, accusano, il Jobs Act viene approvato alla cieca in un “caos dove i parlamentari hanno votato al buio affidandosi ad un cane guida”.
Airola ha denunciato inoltre che sui lavori parlamentari “siamo impossibilitati a svolgere il nostro ruolo di opposizione” e se il ministro Poletti “ci ha salvato dalla fiducia e’ solo per i problemi interni al Pd non per una concessione al dibattito democratico”. I 5 stelle hanno sottolineato di aver presentato 300 emendamenti, “tutti nel merito, ma neppure sono stati discussi”. “Mettiamo le telecamere nello studio di Sacconi – ha ironizzato poi Airola – perche’ siamo a questo ormai…”.
Cominardi ha accusato Renzi che, “nonostante le sue parole, ha ‘dimenticato’ i lavoratori autonomi: nella legge delega infatti non c’e’ nessun riferimento ai lavoratori autonomi, che sono tantissimi. Due cose doveva fare il governo – ha osservato – il reddito di cittadinanza e l’abolizione dell’Irap e non le ha fatte”. Mentre sul Jobs Act che sostituisce il reintegro sul posto di lavoro con un indennizzo, ha sostenuto: “Non e’ nuovo, e’ vecchio di 87 anni: e’ previsto dalla Carta del lavoro del 1927, nel ventennio fascista”. (AGI) .