Da più parti specialmente in ambito internazionale, l’Italia viene considerata come il “bancomat” del terrorismo internazionale in quanto troppo spesso, se non sempre, paga il riscatto per la liberazione di ostaggi italiani in mano di organizzazioni eversive come Al Qaeda ed ora l’ISIS.
Un addebito al nostro Paese che a partire dalla liberazione delle due Simona in Iraq, ritorna non appena è dato l’annuncio della liberazione di un italiano e anche se non confermato dalle Istituzioni, viene invece testimoniato da molti organi di informazione nazionali, senza che venga smentito.
Cerchiamo di ripercorrere, quindi, le tappe più significative per tentare di capire quanto le critiche nei confronti dell’Italia siano credibili e se, piuttosto, siano fantasie per screditare il nostro Paese. Richiami ad episodi importanti che si sono succeduti nel tempo riferendoci a fonti di stampa accreditate, con lo scopo di proporre una narrazione sintetica ma nello stesso tempo completa, che aiuti a comprendere se la nostra Nazione merita di essere indicata come una delle fonti di risorse economiche per i terroristi. Uno dei motivi, forse, perché i nostri connazionali diventano “prede appetibili e remunerative” per chiunque abbia il terrorismo come scopo primario da raggiungere.
Quanto sia importante per le organizzazioni eversive disporre di ingenti risorse economiche lo dice in un comunicato tale Abur Basir, portavoce di Nasseir al Wuhayshi, capo di al Qaida nella Penisola arabica. Nell’agosto 2012 scriveva a Abdelmalek Droukdel, leader di al Qaeda Maghreb che la Jihad aveva costi elevati ma il bottino a disposizione dell’organizzazione era consistente e tale da garantire la copertura delle spese. Notizia pubblicata dal New York Times che parlava anche di una contabilità tenuta dai terroristi articolata fra il conteggio del numero di morti per la causa e delle risorse economiche disponibili, di cui più della metà era riconducibile al business degli ostaggi.
In quella occasione Abur Basir sottolineava l’importanza di questa risorsa affermando che “rapire stranieri è un bottino facile, un commercio di grande profitto e, quindi, un tesoro prezioso”.
Una rendita che, però, potrebbe essere azzerata solo se si applicassero le norme internazionali in vigore che proibiscono di pagare riscatti ai terroristi come stabilito da una risoluzione delle Nazioni Unite approvata dopo l’11 settembre 2001 e da un accordo sottoscritto dai Paesi del G8 per fermare “un commercio di grande profitto” per Al Qaeda.
In realtà, le cose,vanno diversamente e sia il New York Times che il Wall Street Journal hanno nel tempo pubblicato circostanziati articoli in cui rivelano come il business degli ostaggi sia in crescita in particolare nel nord Africa. Notizie mai smentite dai principali Paesi europei, compresa l’Italia. Quasi un’ammissione di aver pagato riscatti per la liberazione di cittadini rapiti dalle organizzazioni terroristiche.
Un giro di affari che a livello internazionale è stimato in 125 milioni di dollari incassati dal 2008 ad oggi dalle formazioni eversive per la riscossione di riscatti. Un flusso di denaro enorme a cui l’Italia contribuisce in maniera sostanziale come si evince da recenti inchieste giornalistiche.
Fonti di stampa ci dicono, infatti, che dal 2004 ad oggi l’Italia abbia pagato complessivamente 61 milioni di euro per 14 ostaggi catturati dalle organizzazioni eversive operative in varie aree geografiche. Una cifra enorme ed una scelta assolutamente diversa da quelle adottate dagli USA e dalla Gran Bretagna come dimostrano fatti concreti. Due operatori umanitari, Federico Motka (italo-svizzero) sequestrato lo stesso giorno dell’inglese David Haines è stato rilasciato dopo qualche mese, il cittadino inglese decapitato a settembre dall’ISIS. Per liberare il cooperante italo-svizzero, secondo il settimanale Panorama “l’Italia ha pagato un riscatto di 6 milioni di euro”.
Non è il solo caso di pagamento raccontato dai media. Anche per il rilascio del giornalista Quirico, sequestrato in Siria il 9 aprile 2013 e rilasciato l’8 settembre, sembra sia stato pagato un riscatto. Lo raccontano due giornalisti, Harald Doornbos e Jenan Moussa, con un articolo pubblicato da Foreign Policy nel quale affermano che il governo italiano ha pagato quattro milioni di dollari. Rivelazione che è stata attribuita a tale Motaz Shaklab del Consiglio nazionale siriano, organo dell’opposizione ad Assad internazionalmente riconosciuto. Costui per la circostanza dice di essere stato il mediatore tra il governo italiano e i rapitori e di essere stato presente al momento del pagamento. La Ministro Bonino interpellata ebbe a dire, invece e più volte, che “Non le risultava” che sia stato pagato un riscatto. Praticamente un’ammissione del tipo: io non c’ero e se c’ero non ho visto !
È un dato di fatto, quindi, che tutti gli italiani rapiti all’estero a partire da Giuliana Sgrena, Simona Pari e Simona Torretta, per arrivare a Federico Motka e Marco Vallisa, passando dai giornalisti Mastrogiacomo e Domenico Quirico ed altri, siano stati liberati dietro il pagamento di riscatti milionari. La dimostrazione che i nostri governi non solo hanno trattato con i terroristi, ma hanno anche distribuito milioni di euro di denaro pubblico finanziando organizzazioni come l’ISIS ed i suoi assassini come il «boia nero» autore del video della decapitazione di Steven Sotloff.
Solamente due giorni orsono, inoltre, un operatore umanitario è stato giustiziato, l’americano Peter Edward Kassig, di appena 26 anni mentre quasi contemporaneamente veniva liberato un altro ostaggio italiano, Marco Vallisa, il 54enne tecnico italiano rapito in Libia a Zwara il 5 luglio 2014, per il quale sembra sia stato pagato un riscatto di 4 milioni di dollari.
Una triste conferma, Tutti gli ostaggi di Paesi che rifiutano di pagare riscatti per non rimpinguare le casse del terrorismo internazionale sono giustiziati, solo gli italiani e qualche francese vengono liberati dietro enormi esborsi di danaro.
Una realtà che lascia pensare che probabilmente i terroristi islamici considerano merce preziosa qualsiasi ostaggio italiano e anche francese. Una convinzione che, però, incrementa il rischio per i nostri connazionali che in qualche modo operano nel mondo.
Oggi, per quanto noto, rimangono nelle mani dei sequestratori ancora quattro italiani. Vanessa Marzullo e Greta Ramelli rapite lo scorso 31 luglio, cooperanti simpatizzanti dei terroristi islamici come lo erano le due Simona sequestrate in Iraq nel 2003, padre Paolo Dall’Oglio, un Sacerdote anche lui filo-islamico rapito il 29 luglio 2013 e, da oltre due anni, il cooperante Giovanni Lo Porto sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012.
Un’Italia controcorrente rispetto al “resto del mondo” fatte salve rare eccezioni. Un Paese contraddittorio anche in questo. Si è pronti a consegnare in ostaggio ad un Paese terzo due nostri militari, i Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, e nello stesso tempo si è pronti a pagare il riscatto per far liberare ostaggi catturati da terroristi, magari perchè poco attenti a muoversi in aree a rischio.
Prassi non smentite dal nostro Esecutivo che invita a non polemizzare con l’India e nello stesso tempo per il tramite del Sottosegretario agli Esteri Giro ci informa: “Riporteremo i nostri ostaggi a casa. Non importa come”, precisando anche che “ogni Paese è sovrano di trattare o meno” con i rapitori, lasciando capire che l’Italia non intende abbandonare la strada del pagamento di riscatti, nonostante che nostri alleati nella lotta al terrorismo come Londra e Washington, siano totalmente contrari a questa politica destinata ad incoraggiare i rapitori.
La vita umana non ha prezzo e quindi potrebbe essere anche giustificabile il pagamento di un riscatto per liberare un ostaggio. Non lo è più, però, nel momento che i proventi vanno a rimpinguare le casse di organizzazioni eversive pronte ad usare il denaro incassato per uccidere centinaia di migliaia di persone, anche donne e bambini.
Peraltro, non si comprende perché non sia applicata anche in caso di sequestri di persona all’estero, la legge nazionale che proibisce e punisce il pagamento di qualsiasi riscatto anche arrivando a sequestrare i beni del rapito e della sua famiglia. Un vincolo che dovrebbe essere esteso anche quando la persona sia rapita fuori dal territorio nazionale, evitando di essere complici nel fornire risorse ai gruppi eversivi.
Un provvedimento da integrare con precise informazioni e moniti nei confronti di coloro che decidono per qualsiasi motivo di recarsi in Paesi a rischio, stabilendo che ciascuno lo farebbe a proprio rischio e pericolo.
Non possiamo infatti continuare a mandare il pericoloso messaggio di essere dei buoni pagatori e, quindi, fra i finanziatori delle formazioni estremistiche che minacciano la sicurezza mondiale e le garanzie che ogni democrazia moderna assicura ai propri cittadini.
Fin tanto che continueremo, invece, a pagare riscatti i potenziali ostaggi italiani continueremo ad essere sempre più vulnerabili ed a rappresentare un bancomat inesauribile per il terrorismo internazionale.
Fernando Termentini, 19 nov. 2014