16 nov – “Ma quale odio razziale? Quale fascismo? Quale violenza squadrista? E quale ondata della destra estrema? Io ho partecipato alle proteste sotto il palazzo degli immigrati, la prima e pure la seconda sera. Ma, potesse rivoltarsi mio padre nella tomba, ho sempre votato comunista. Ho gridato con tutto il fiato che avevo in corpo che non ne possiamo più, ma dalla mia bocca non è mai uscita una frase contro il colore della pelle o la nazionalità di quelle persone. Stavano violentando una ragazza e la verità è qui per strada la sera c’è il coprifuoco, non possiamo più uscire. Ecco come stanno le cose”.
Adriana, la pasionaria di Tor Sapienza, è una donna minuta. E’ una nonna e abita da oltre quarant’anni in quel quartiere. Vive in una casa del Comune e, da quando è rimasta vedova, campa con 600 euro al mese, a cui sottrae i 150 per la pigione dell’appartamento.
E’ stata lei a guidare la protesta della parte meno facinorosa – “ma non meno incazzata” – del quartiere. “Quando ci siamo dati appuntamento sotto il palazzo degli extracomunitari, volevamo solo far capire loro che la violenza che avevano usato con quella ragazza qualche sera fa era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. E sa loro come hanno reagito? Affacciandosi dalle finestre e lanciandoci gli oggetti. Con i tablet e i cellulari ci filmavano dall’alto. E un gruppo di magrebini sventolava i coltelli per farci vedere che erano armati. Eh no: il danno e anche la beffa? Provi a contenere lei gli animi di persone esasperate da una situazione pesantissima e difficile che si vedono anche deridere da queste persone protette dallo Stato. Che hanno più diritti di noi. Fossero stati italiani, le assicuro, non sarebbe cambiato nulla.
Siamo stanchi, davvero. Ci sentiamo umiliati. Soprattutto quando assistiamo a scene come buttare i pasti che gli porta la Caritas. Appena il furgoncino coi viveri se ne va, scendono e gettano tutto nei cassonetti. E poi passano gli italiani e i rom del campo qua dietro e mangiano i loro avanzi. Il mondo s’è capovolto, dia retta a una nonna”. […]