6 nov – I 277 delegati al congresso provinciale del 10 novembre eleggeranno il nuovo presidente direttivo. Un congresso straordinario, anticipato di mesi rispetto alle scadenze naturali, come pure la convocazione anticipata del congresso nazionale di Legacoop. I motivi, che si devono leggere tra le righe, sono da ricercare nella prolungata fase di delicatezza del contesto socio economico a cui il presidente Calzolari invitato a togliere il disturbo, non è stato capace di far fronte.
Il prossimo lunedì 10 novembre a Bologna, in quell’obbrobrio di edificio dove è stato ricavato anche l’auditorium di ‘”Abbiamo una Banca” si terrà il congresso “straordinario” con 277 delegati chiamati al rinnovo di tutti gli organi dirigenti dell’associazione, dal nuovo presidente alla nuova direzione.
Il congresso è stato preceduto da una serie di incontri che ha visto il coinvolgimento di oltre 400 persone con diritto decisionale. Dai consigli di amministrazione allargati alle direzioni, dal management alle consulte, dai gruppi di lavoro alle assemblee dei soci. Tra questi 400, solo 110 donne. Il dato lo vogliamo stigmatizzare perchè è significativo in quanto rappresenta il vero volto della sinistra in merito alle ‘pari opportunità’ patriarcale e misogino esattamente come per la destra, meno del 30%.
Diversa invece la rappresentanza di chi lavora: Legacoop Bologna associa 191 cooperative che danno lavoro a oltre 51 mila persone che per il 70% dei quali sono donne, e di queste il 90% ha un lavoro a tempo indeterminato. Il tutto alla faccia dei contratti di solidarietà e soprattutto del nuovo dogma sinistro, il jobs Act renziano, perchè queste donne grazie al lavoro a tempo indeterminato possono studiare, possono avere dei figli, possono crearsi una famiglia, possono accendere un mutuo, possono comprarsi una casa o anche semplicemente avere un contratto d’affitto, cose tutte impossibili in questo Paese per chiunque non abbia un lavoro a tempo indeterminato e che il ducetto ha detto di dimenticare.
Per il congresso hanno accantonato “la coop sei tu”, ed hanno scelto lo slogan “Cooperazione. Bologna può contarci”. Questi due di Coop amano credere che le cooperative abbiano dato molto più di quanto abbiano preso e depredato a questo territorio in termini di ricchezza diffusa, servizi, coesione sociale e prospettive di crescita, ma per per onestà intellettuale bisogna ammettere che in parte è vero.
Se sei di sinistra, se lavori nelle Coop, se sei socio Coop, se sei cliente di “abbiamo una Banca” la vita non è più facile, ma è certamente meno difficile.
I dati evidenziano una forte contraddizione: la flessione dei fatturati e un lieve incremento dell’occupazione comprensivo anche del personale interessato da ammortizzatori sociali (circa il 9% dei dipendenti impiegati nel territorio bolognese): variazioni che si innestano su una fase di prolungata assenza di crescita economica del territorio bolognese che, in questi anni, ha generato un progressivo impoverimento del tessuto economico locale. Il dato generale sugli andamenti non risulta pesantemente negativo le grandi cooperative solo perchè hanno cercato e trovato occasioni di crescita fuori dal territorio bolognese. Una prolungata fase di decrescita felice che ha messo alle corde interi settori produttivi dove le cooperative risentono pesantemente della crisi con casi di crisi eclatanti di diverse cooperative e di chiusure di grandi cooperative come la Coop Cesi di Imola. Come fiore all’occhiello le Coop portano operazioni come la fusione tra Unipol e Fonsai e Fico–Eataly world, esempio di collaborazione tra imprese di natura diversa e le istituzioni locali.