2 ottobre – Nel libro “L’arte della guerra”, Sun Tzu «ha spiegato l’arte della dissimulazione e del sotterfugio, ma qui si sta esagerando». Giù la maschera, mister Obama: «Fu la Cia ad armare i mujaheddin e Bin Laden contro i sovietici, poi Bin Laden è diventato il nemico numero uno degli Stati Uniti. E fu Washington a sostenere Saddam contro l’Iran, poi Saddam è diventato il nuovo Hitler».
Ricorda Marcello Foa: «Quando i Talebani imponevano un regime orribile in Afghanistan, l’America ignorò a lungo le loro nefandezze mostrando una benevola negligenza al punto di finanziare quel regime addirittura pochi mesi prima dell’11 Settembre, come dimostrato da una fonte insospettabile quale l’Istituto Cato. Ora tocca all’Isis e a nuovi gruppi spuntati dal nulla, vedi il Khorasan, che sembra il nome di un farmaco contro il colesterolo, ma che, come spiega il “Corriere della Sera”, è la nuova sigla del terrore, il nuovo erede di Al-Qaeda». E ora gli Usa fingono di non conoscere i loro ex amici dell’Isis, nati come costola dell’Esercito Siriano Libero per rovesciare Assad, poi divenuti Isil, quindi semplicemente Is, Islamic State, Califfato Islamico. Bersaglio perfetto, per mantenere il Medio Oriente nel mirino.
L’Isis, scrive Foa nel suo blog sul “Giornale”, rappresenta l’ala più estremista dell’Islam integralista sunnita, «un’ala fanatica, pericolosa, impresentabile: Marcello Foagente da tenere alla larga». Dunque, «i bombardamenti avvengono in nome di una causa che pochi non condividono in Occidente, tanto più dopo le immagini delle decapitazioni». Tuttavia, «l’altra sconvolgente verità» è che l’Isis «è stato finanziato da paesi arabi come il Qatar e i sauditi e sostenuto militarmente negli Stati Uniti, fino ad alcuni mesi fa, in nome della lotta alla Siria, ben sapendo che la distinzione tra ribelli “moderati” e quelli dell’Isis anti-Assad è risibile, come emerso nelle analisi più competenti e oneste pubblicate anche dalla grande stampa anglosassone». Si trattasse di un singolo errore, concede Foa, l’indulgenza sarebbe ovvia. Analizzando invece le linee fondamentali della politica estera statunitense, «il bilancio non può che essere molto negativo, e con uno schema che tende a ripetersi».
Riflessioni d’obbligo: «La guerra in Afghanistan non è stata risolutiva, quella in Iraq nemmeno: anzi, il paese sta molto peggio rispetto all’era Saddam». Il Maghreb? «Era molto più stabile quando c’erano i Mubarak, i Ben Ali e persino Gheddafi, considerato che la Libia vive in uno stato di guerra tribale permanente».
Quanto alla Siria, il paese di Assad «prima era una garanzia di stabilità per la regione nonché un alleato prezioso degli stessi Stati Uniti nella lotta al terrorismo, vedi la collaborazione al programma di “rendition”». Ora invece è improvvisamente diventato «un regime diabolico, da abbattere ad ogni costo». A partire dal grande detonatore geopolitico dell’11 Settembre, «le guerre condotte negli ultimi 13 anni non hanno portato pace e nemmeno libertà e prosperità, ma crescente instabilità, morte, povertà, caos».
Paradigmatico l’esempio dell’Iraq: «Saddam odiava i fondamentalisti e rifiutava qualunque collaborazione con Bin Laden». Oggi, invece, l’Iraq «è la nuova terra promessa, anzi il nuovo Califfato del peggior integralismo islamico». Le guerre americane? Hanno solo peggiorato il problema. «A cosa sono servite, davvero? E quale sarà l’effetto finale di quella appena iniziata contro l’Isis? Vedremo – conclude Foa – ma alle promesse di Obama e della sua squadra non credo più da un pezzo». libreidee