25 settembre – Tutti gli imputati di stupro potranno ottenere l’attenuante, con sconto di pena annesso, di aver commesso un reato ‘di minore gravità’ anche nel caso di violenze carnali «complete» ai danni delle donne. A dirlo è la Corte di Cassazione.
Invece, per la Corte di Appello di Venezia lo stupro completo non è mai di «minore gravità».
Secondo i supremi giudici, la «tipologia» dell’atto «è solo uno degli elementi indicativi dei parametri» in base ai quali stabilire la gravità della violenza e non è un elemento «dirimente».
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Accogliendo il ricorso di un violentatore al quale la Corte di Appello di Venezia aveva confermato la condanna emessa dal gip di Vicenza che aveva escluso l’ipotesi dello stupro di minore gravità dato che l‘uomo aveva imposto con violenza pìù rapporti completi alla sua compagna, la Suprema Corte sottolinea che «così come l’assenza di un rapporto sessuale ‘completo’ non può, per ciò solo, consentire di ritenere sussistente l’attenuante, simmetricamente la presenza dello stesso rapporto completo non può, per ciò solo, escludere che l’attenuante sia concedibile, dovendo effettuarsi una valutazione del fatto nella sua complessità».
Per effetto di questa decisione della Terza sezione penale della Suprema Corte – sentenza 39445 depositata oggi, udienza del primo luglio – è stata annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, la condanna (la cui entità non è riportata) inflitta a un uomo di 48 anni, Giuliano S., «limitatamente alla ravvisabilità dell’ipotesi attenuata». Infatti, gli ‘ermellini hanno giudicato «fondato» il ricorso del violentatore che ha sostenuto che, per valutare la gravità di uno stupro, deve «assumere rilevanza la qualità dell’ atto compiuto (e segnatamente il grado di coartazione, il danno arrecato e l’entità della compressione) più che la quantità di violenza fisica esercitata».
Nel suo caso, da parte dei giudici d’appello sarebbe «mancata ogni valutazione globale», in particolare «in relazione al fatto che le violenze sarebbero sempre state commesse sotto l’influenza dell’alcol». In proposito, la Cassazione scrive che «ai fini della concedibilità dell’attenuante di minore gravità, assumono rilievo una serie di indici, segnatamente riconducibili, attesa la ‘ratiò della previsione normativa, al grado di coartazione esercitato sulla vittima, alle condizioni fisiche e mentali di quest’ultima, alle caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all’età, all’entità della compressione della libertà sessuale ed al danno arrecato alla vittima anche in termini psichici».
Se così non fosse, – prosegue la Suprema Corte – si riprodurrebbe la «vecchia distinzione, ripudiata dalla nuova disciplina, tra ‘violenza carnalè e ‘atti di libidinè che lo stesso legislatore ha ritenuto di non focalizzare preferendo attestarsi sulla generale clausola di ‘casi di minore gravita»«. Pertanto, la circostanza attenuante »deve considerarsi applicabile in tutte quelle volte in cui – avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione – sia possibile ritenere che la libertà sessuale della vittima sia stata compressa in maniera non grave«. È questo vale anche in un caso come quello esaminato, nel quale la Corte di appello di Venezia aveva fatto riferimento, per negare l’attenuante, »ai plurimi rapporti sessuali completi ottenuti con la violenza e senza il minimo rispetto della dignità e libertà di determinazione della donna.
Per la Cassazione, invece, è necessaria »una disamina complessiva, con riferimento alla valutazione delle ripercussioni delle condotte, anche sul piano psichico, sulla persona della vittima«, perchè i giudici non possono fare come i magistrati della Corte di Appello veneziana che si sono »limitati« a »descrivere il fatto contestato, necessariamente comprensivo, per stessa definizione normativa, di violenza senza tuttavia analizzarne, come necessario, gli effetti.