16 settembre – L’ultima tragedia è di pochi giorni fa. Alessandro Bruno, 44 anni, assistente capo di polizia penitenziaria nel carcere di Saluzzo, sposato e padre di tre figli, si è ucciso sparandosi un colpo in testa con la pistola d’ordinanza. L’ottavo suicidio di un agente penitenziario dall’inizio dell’anno, il trentesimo negli ultimi tre anni.
Una strage determinata dalle condizioni di lavoro, dalla fatica, dallo stress. Secondo il segretario del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), Donato Capece, se si fa partire il computo dei suicidi dal Duemila, si arriva a un centinaio di casi tra gli agenti. Ai quali vanno aggiunti quelli del direttore di un istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e di un dirigente generale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza).
Il segretario del Sappe sottolinea che questi dati non sono ufficiali. Sono veri, ovviamente, ma non sono stati diffusi attraverso i percorsi istituzionali, né vengono dagli archivi del Dap, il Dipartimento della polizia penitenziaria. Sono stati raccolti in modo autonomo dal sindacato. Il sostanza, secondo il Sappe, le istituzioni non solo fanno poco per affrontare il problema, ma in una certa misura tentano di nasconderlo.
Capece parla di un corpo di polizia lasciato in “stato di abbandono”. “Siamo sotto organico – denuncia – di circa ottomila agenti e se uno sbaglia non glielo perdonano. Eppure riusciamo ancora a salvare la vita a tanti detenuti disperati”. Alla moria degli agenti corrisponde quella dei reclusi. Anche qua le cifre sono allarmanti. Dall’inizio dell’anno si sono suicidati 31 detenuti. Ma il numero, in assenza degli interventi degli agenti, sarebbe molto più alto. “Solo l’anno scorso – ha dichiarato Capece – sono stati 1.200 i suicidi sventati, senza contare tutta una serie di eventi critici che sono stati gestiti”
L’organico complessivo degli agenti di polizia penitenziaria ammonta a 38.750 unità. I detenuti sono 54.620. Se si prendono in esame e proporzioni tra agenti operativi in servizio nei vari turni e i reclusi, si ha come risultato che mediamente un agente vigila su 70/80 reclusi. Mentre il rapporto ideale per garantire efficienza al servizio dovrebbe essere, sottolinea il Sappe, di un agente ogni cinquanta detenuti.