Indossa il burqa, preleva bimba da scuola fingendosi la madre e la violenta per ore

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13 settembre – Dietro quel velo non c’era il volto della mamma. Sotto quell’abito che le sembrava così familiare, in realtà, si nascondeva Christina Regusters, la ragazza che per 19 ore l’avrebbe tenuta lontana dall’affetto dei suoi cari per violentarla prima di abbandonarla nel cuore della notte in un parco. (washingtontimes.com)

La bambina, che oggi ha 7 anni, nel gennaio 2013 venne prelevata dalla scuola Bryant Elementary School di Philadelphia (Pennsylvania, USA) da una donna vestita con il niqab tradizionale, l’abito musulmano lungo e nero che nasconde il volto. «Sono la mamma – disse ai funzionari della scuola – porto mia figlia a fare colazione fuori». La donna, all’epoca 19enne, non venne identificata e poté portare via indisturbata la bambina. Furono necessarie 8 ore prima che il personale scolastico si rendesse conto che qualcosa non andava: la piccola, infatti, era sparita e la mamma, quella vera, la stava cercando disperatamente.

La bimba, nel frattempo, era stata bendata e condotta nella casa degli orrori. Agli investigatori ha riferito di essere stata nascosta sotto un letto durante la prigionia e di aver subito degli abusi sessuali. Un calvario durato fino a notte fonda, quando la donna ha deciso di abbandonarla al parco giochi Upper Darby: alle 4.40 un uomo che passava nelle vicinanze ha sentito urla provenire dall’interno e ha trovato la piccola seminuda che piangeva a dirotto con addosso solo una lunga maglietta.

A incastrare l’insospettabile Christina, che si occupava di infanzia, è stata una serie di indizi, compresi numerosi dettagli riferiti dalla coraggiosa bambina durante il processo: la donna è stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza della scuola. Conosceva la vittima perché si era presa cura del suo fratellino e il DNA ritrovato sulla maglietta indossata dalla piccola al momento del ritrovamento era il suo. Per chiudere il cerchio la bimba ha riferito che durante le violenze c’era un pappagallo parlante nella stanza. E Christina ne possedeva uno. I pubblici ministeri hanno trovato nella cronologia internet del pc della ragazza siti di pornografia infantile, anime giapponesi in cui c’erano torture su bambini e una pagina web su come distruggere la prova del DNA.

La difesa di Christina ha sostenuto che tre persone in quella casa avrebbero potuto sentire le grida durante gli abusi e ha proposto una teoria alternativa: la sua cliente ha aiutato un uomo senza nome a commettere il crimine. Tuttavia la versione non ha convinto la giuria che ha dichiarato colpevole la ragazza. La condanna è prevista per il 15 dicembre: su di lei pendono le accuse di rapimento, aggressione aggravata e rapporto sessuale con una minore.

La famiglia della vittima ha citato in giudizio il distretto scolastico di Philadelphia per aver lasciato che la figlia fosse prelevata da scuola senza che l’adulto venisse identificato e per non essersi accorti della mancanza della piccola se non dopo ore. La bimba ha subito lesioni devastanti ed è stata sottoposta a una colostomia: adesso frequenta la seconda elementare e, giorno dopo giorno, sta lentamente tornando a una vita normale.

Federica Macagnone per il messaggero