Usare la forza armata contro ISIS è lecito

isisx

Di Giuseppe Paccione

1. L’Islamic State in Iraq & Siria – che denominiamo ISIS – ha fatto notizia nel mese di giugno, nel momento in cui la sua offensiva è venuta sempre più intensificandosi nello Stato iracheno. Dai primi giorni del mese di giugno, l’ISIS ha conquistato la seconda città più grande dopo Baghdad, Mosul, seguite dalle altre città come Tikrit, Rawa, Ana, e via discorrendo. Esso controlla i confini con la Siria e sta per preparare una marcia alla volta della capitale irachena. Il suo obiettivo consiste nel determinare a tutti i costi uno Stato vero e proprio in tutta la regione, il c.d. califfato. Questo gruppo terroristico ha una roccaforte in Siria, dove controlla vaste aeree di territorio includendo Aleppo orientale e Raqqa, come pure i giacimenti di gas e petrolio. Con un patrimonio del valore di un presunto di 2 miliardi di dollari, l’ISIS ha poca difficoltà di reclutamento di personale o l’acquisto di armi. L’Iraq ha adottato misure per contrastare l’ISIS nel proprio territorio, con l’assistenza limitata degli Stati Uniti. Il discorso abbonda della prospettiva di attacchi militari guidate dagli Stati Uniti attraverso la frontiera. Quando i responsabili politici considerano le loro opzioni, è essenziale considerare questa domanda: come sono le norme giuridiche internazionali che disciplinano l’uso della forza da applicare alle azioni militari contro l’ISIS in Iraq e / o la Siria.

2. Il cuore delle norme sull’uso della forza è l’articolo 2 (4) della Carta delle Nazioni Unite, che inibisce la minaccia o l’impiego della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di ciascuno Stato. Essendo tale disposizione riconosciuta come jus cogens, gli Stati non possono derogare o contravvenire dall’articolo poc’anzi citato. Le uniche eccezioni, ampiamente accettate, al divieto dell’uso della forza sono l’applicazione del capitolo VII attraverso il Consiglio di Sicurezza e il diritto di auto-difesa o legittima difesa, sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Prima di passare ad esaminare talune eccezioni, una questione logicamente precedente è se l’intervento in Iraq, su richiesta del governo iracheno possa includere totalmente l’articolo 2 (4). L’Iraq è uno Stato sovrano e indipendente e come tale ha il diritto di chiedere agli altri Stati di essere supportato per contrastare gli attori non statali – in questo caso ci si riferisce all’ISIS –presenti sul suo territorio. Tale azione non soverchierà l’indipendenza politica o l’integrità territoriale dello Stato iracheno. Infatti, ai sensi dell’articolo 20 del Progetto di articoli sulla Responsabilità degli Stati della Commissione del diritto internazionale, viene enunciato che Il consenso validamente dato da uno Stato alla commissione da parte di un altro Stato di un atto determinato esclude l’illiceità di tale atto nei confronti del primo Stato sempre che l’atto medesimo resti nei limiti del consenso. Ciò offre un fondamento giuridico per la messa in atto della coercizione militare armata, id est impiego della forza, all’interno del territorio iracheno. Un luogo significativo della minaccia dell’ISIS e la fonte degli attacchi in corso è senza dubbio la Siria. Che cosa accade se il conflitto prende piede oltre il confine ovvero si allarga aldilà della demarcazione territoriale? L’uso della forza sul territorio siriano, senza il consenso del governo di Damasco violerà, prima facie, la sua integrità territoriale e comporterà una violazione dell’articolo 2 (4) della Carta delle Nazioni Unite. L’unica giustificazione per tale azione sarebbe stata la legittima difesa, che, a mio parere, permette una caratterizzazione più appropriata a favore di azioni irachene e degli alleati sia fuori, che dentro l’Iraq.

3. Secondo l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

Questo articolo non è intesa per delineare il fine della legittima difesa, ma piuttosto di affermare la sua continuazione dopo il 1945 e di salvaguardare gli accordi regionali sulla sicurezza. Inoltre, come confermato dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), il contenuto di autodifesa è influenzato dallo jus cogens o diritto internazionale consuetudinario. Consuetudine, a sua volta, che dipende dall’evoluzione della prassi degli Stati, e quindi il diritto internazionale non è statico. Oggi, si è in presenza di tre requisiti: il primo è quello di un attacco armato effettivo o imminente contro uno Stato; il secondo consiste nell’avere un attacco che deve raggiungere una scala minima; il terzo è quello secondo cui vi deve essere l’elemento della necessità e della proporzionalità della risposta armata.

La prima domanda da porsi è se l’Iraq ha subito un vero e proprio attacco armato. Questo a sua volta riprende la polemica sul fatto se gli attori non statali può de jure compiere attacchi armati, giustificando la risposta forzata in terra straniera. Per alcuni, il caso Caroline del 1837 sostiene questa proposta. Una nave, la Caroline, era stato utilizzata durante una ribellione contro il dominio britannico in Canada, ma non riguardava il coinvolgimento degli Stati Uniti. Le forze britanniche l’avevano sequestrata e distrutta, mentre era ormeggiata nel porto di New York.

La difficoltà di questo argomento è che, fino a poco tempo fa, la prassi dello Stato, senza alcun dubbio, statuiva che gli attacchi andavano attribuiti a uno Stato.

Nel 1985, ad esempio, lo Stato d’Israele attaccò l’OLP (organizzazione per la liberazione della Palestina), che aveva il suo quartiere generale a Tunisi, sulla base del fatto che la Tunisia aveva dato ospitalità all’OLP. È ovvio che l’azione fu condannata dal Consiglio di Sicurezza mercé la risoluzione n.°573/1985 come soglia per l’attribuzione non fu soddisfatta. Nel 1995, la comunità internazionale condannò le azioni della Turchia contro il PKK – Partîya Karkerén Kurdîstan, cioè il partito dei lavoratori del Kurdistan – nel nord dell’Iraq.

Analogamente, in Nicaragua, la CIG asserì che un attacco messo in atto da un gruppo di ribelli sarebbe soltanto un attacco armato se fosse inviato da uno Stato o dal comportamento di supporto di uno Stato. Si sa che il diritto ha dei suoi mutamenti negli anni. Oggi, un attacco armato può essere commesso anche da attori non statali senza che vi sia la complicità di qualche Stato (anche se, a parere di chi scrive, ritengo che nel caso dell’ISIS, pare che ci sia qualche Stato, come il Qatar, che finanzia questo gruppo terroristico) o il suo coinvolgimento. Ciò è stato posto in modo conclusivo oltre ogni dubbio dalla benvenuta risposta internazionale alle operazioni contro Al-Qaida in Afghanistan tra il 1998 e il 2001.

Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza n.°1368 e 1373 hanno riconosciuto il diritto naturale di autodifesa o legittima difesa nell’ambito terroristico, senza suggestione di attribuzione a uno Stato. Anche durante l’offensiva d’Israele in Libano, nel 2006, alcuni Stati nelle discussioni all’interno del Consiglio di Sicurezza affrontarono la questione circa il diritto d’Israele a rispondere degli attacchi dei missili e dei rapimenti; il disaccordo avvenne quando si dibatté sul problema della proporzionalità. In ogni caso, pertanto, lo Stato ospitante aveva violato il suo vincolo internazionale dal tollerare gli attori non statali armati sul proprio territorio. Di conseguenza, non gira sul fatto che gli attacchi dell’ISIS non possono essere attribuiti a uno Stato. A prima vista, i suoi attacchi costituiscono dei veri e propri attacchi armati ai sensi dell’articolo 51, purché soddisfino le altre condizioni.

Secondo il Nicaragua, un attacco armato deve avere un minimo di misura per qualificarlo come un attacco armato. La ratio sta proprio nell’escludere i tumulti minori. In modo analogo si sostiene che un attacco armato presuppone l’utilizzo della coercizione armata che può produrre serie conseguenze, personificato dalle incursioni territoriali, dalle perdite umane o dalla notevole distruzione della proprietà.Nelle piattaforme di greggio, quindi, la CIG si rifiutò di escludere la possibilità che l’estrazione di una sola nave da guerra potrebbe soddisfare la richiesta (o requisito).

Su ciascun’interpretazione, gli attacchi dell’ISIS sono abbastanza sufficienti. Questo gruppo islamico di terroristi ha, attraverso l’uso della forza, conquistato alcune città dell’Iraq e hanno attaccato sia le forze armate che i civili. Anche se iniziato con il conflitto fra Stati in mente, i suoi attacchi rientrano nello spirito dell’articolo 3 della Definizione di aggressione delle Nazioni Unite. Com’è stato asserito prima, un attacco armato deve essere in corso o imminente. Nello Stato iracheno, aggiungo pure in quello siriano, sono in corso gli attacchi dell’ISIS. In aggiunta, Inoltre, data la posizione dell’intelligence reso pubblico in concomitanza con gli obiettivi futuri dichiarati dell’organizzazione e la sua capacità, esiste una minaccia imminente di ulteriori attacchi.

4. Va dimostrato che gli attacchi del gruppo terroristico ISIS non sono puramente interni. In altri termini, ci deve essere una dimensione internazionale. Ora, la CIG, nella sua analisi giuridica sull’edificazione del muro nel territorio palestinese occupato, ha sostenuto che la minaccia che [Israele affronta] nasce dentro, e non fuori, che il territorio e quindi Israele non poteva invocare il diritto alla legittima difesa. A parere del sottoscritto, ritengo che gli attacchi dell’ISIS sono in modo netto e sufficientemente internazionalizzate. Fino a poco tempo, la preponderanza della sua attività era in Siria, dove controlla ampie zone di territorio, risorse naturali e armi. Ancora, sembra che il personale dell’ISIS e il loro armamento attraversa il confine con l’Iraq. Infatti, ha sottoposto sotto il suo controllo i valichi, per tale scopo, fra i due Stati, id est la Siria e l’Iraq.

Si aggiunga che questo gruppo ha grandi obiettivi a livello internazionale. La minaccia, dunque, non ha origine esclusivamente all’interno del territorio iracheno. Affermare il contrario minerebbe inutilmente il diritto di difendersi dell’Iraq. Anche se l’ISIS ha compiuto attacchi armati, a tal punto deve essere ancora necessario che l’Iraq assieme a Stati terzi adotti le misure necessarie, come l’uso della forza, per contrastare o debellare l’avanzata dell’ISIS. Il grande internazionalista Roberto Ago ebbe a dire che lo Stato non deve aver avuto dei mezzi per fermare, respingere o prevenire l’attacco diverso dal ricorso dalla forza armata. Nell’attuale situazione, la necessità sfocia in modo automatico dalla ragione che un attacco è in corso. Inoltre, ogni tentativo di risolvere la questione in maniera pacifica consentirebbe all’ISIS di consolidare le sue conquiste e preparare futuri attacchi. Nulla di tutto questo sta a indicare che sia ammesso utilizzare l’azione coercitiva armata sul suolo della Siria per se.

Dopo gli attacchi del 2001 alle Torri gemelle, la prassi dello Stato indica che la legittima difesa contro gli attori non statali (come per l’appunto l’ISIS) è consentita nel momento in cui lo Stato di residenza non si sia opposto agli attacchi contrari al diritto internazionale. Un esempio è possibile trarre dall’Afghanistan che è stata sempre tollerante con Al – Qaeda. La Siria al contrario non ha accettato le attività dei ribelli sul suo territorio; manca piuttosto la capacità di smantellare l’ISIS, che di per sé non è illegale. Di conseguenza il consenso deve essere ricercato dal governo siriano prima di intervenire sul suo territorio. Data la mancanza di capacità delle autorità stesse di Damasco ad affrontare e debellare l’ISIS, l’eventuale rifiuto sarà irragionevole e consolida la necessità per un’azione. Qualsiasi risposta di carattere difensivo, ovviamente, deve essere proporzionato, che ha due elementi fondamentali.

In primis, la risposta non deve essere manifestamente sproporzionata alla dimensione degli attacchi dell’ISIS. Questo non richiede, tuttavia, una totale simmetria dell’ampiezza fra i due contendenti; si consideri, a titolo d’esempio, ciò che avvenne nel 1982 quando la Gran Bretagna ha dovuto usare in modo significativo un’azione coercitiva armata maggiore nel ripristinare allo status ante quo le isole Falklands-Malvinas, rispetto alla forza armata dell’Argentina.

In secundis, l’obiettivo dell’azione deve essere ragionevole, e l’azione stessa non deve andare oltre quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo. Gli attacchi aerei contro le postazioni dell’ ISIS, le attività e il personale all’interno del territorio siriano e iracheno saranno forse commisurate sia alla dimensione degli attacchi da parte dell’ISIS, sia l’obiettivo ragionevole di ridurre o depennare del tutto la sua capacità. In conclusione, l’Iraq ha il pieno diritto di difendersi dagli attacchi armati perpetrati dall’ISIS e può anche chiedere supporto alla comunità internazionale, attraverso l’intervento armato di Stati terzi. Esistono dei vantaggi per caratterizzare gli attacchi come attacchi armati, dal momento che, in prima battuta, lo rende lecito intraprendere il conflitto a favore del territorio della Siria. I rigidi requisiti della necessità e proporzionalità limitano o circoscrivono la portata della conseguente risposta. Nel caso dell’Iraq, quest’ultimo ha il pieno diritto, come è stato poc’anzi evidenziato, di chiedere assistenza da parte dei suoi alleati, come gli Stati Uniti, e anche l’Unione Europea, trasformando l’azione da autodifesa singola in legittima difesa collettiva.