5 agosto – «Allah contali uno a uno e uccidili fino all’ultimo, non risparmiarne neppure uno». L’invettiva contro il popolo ebraico non riecheggia da una moschea di Gaza, ma dalle mura della moschea di San Donà del Piave.
A pronunciarla, sotto gli occhi indifferenti dei fedeli, è lo sceicco Abd Al Barr Al Rawdhi, arrivato nella cittadina del Veneto – distante una trentina di chilometri da Venezia – per celebrare la preghiera dello scorso venerdì.
Come racconta il giornale
Nel filmato, ripreso probabilmente con una telecamerina nascosta, si vedono un’ottantina di islamici allineati su corsie di moquette verde in un’ampia sala. L’imam – secondo Memri lo sceicco Abd Al Barr Al Rawdhi – parla da un piccolo pulpito appoggiato su una scaletta di quattro o cinque gradini.
Da lì partono parole di fuoco contro un popolo accusato di avere «il cuore più duro della pietra». Un popolo colpevole secondo l’imam di «aver sparso il sangue dei profeti» e di «gente innocente». Un popolo che merita per questo di «essere incatenato e maledetto». Dopo queste premesse l’imam pronuncia l’invocazione centrale, cuore di tutto il sermone. «Allah contali uno ad uno e uccidili tutti fino all’ultimo. Non risparmiarne neppure uno. Fai diventare il loro cibo veleno, trasforma in fiamme l’aria che respirano. Rendi i loro sonni inquieti e i loro giorni tetri. Inietta il terrore nei loro cuori».
Un messaggio in sintonia con i trascorsi di una moschea dove secondo il presidente della provincia di Venezia Francesca Zaccariotto, già sindaco di San Donà di Piave dal 2003 al 2013, la «presenza di elementi radicali era stata più volte segnalata». […]
Nel 2012 le indagini su un giro di estorsioni ai danni di immigrati costretti a «donare» denaro convogliato su conti correnti siriani, libanesi o sauditi e utilizzato per favorire le entrate illegali in Italia aveva però portato all’arresto di quattro siriani tra cui Ahmad Chaddad, imam della moschea di San Donà fino al 2009. I quattro, arrestati a Vicenza dopo un’inchiesta condotta dalla Digos di Venezia, erano accusati di aver raccolto circa un milione e mezzo di euro utilizzati – secondo le ipotesi investigative – anche per finanziare attività eversive. Le indagini erano partite dalle segnalazioni di alcuni immigrati che si erano presentati in Questura denunciando le aggressioni e le vessazioni subite per mano del gruppo guidato da Chaddad. L’ex imam era già noto agli inquirenti per gli stretti contatti con Arman Ahmed El Hissini Helmy, alias Abu Imad, l’omologo della moschea milanese di viale Yenner, condannato a tre anni e otto mesi per favoreggiamento del terrorismo.