Debito Pubblico. Una grande truffa attuata con una credenza ideologica per fare terrorismo psicologico su una popolazione inerte
22 luglio – Una truffa economica di proporzioni storiche dove un fantomatico debito pubblico sovrano è stato mutato in un debito pubblico vero e proprio con banche private per imporre i cittadini ad accettare i loro diktat economici e politici, irregimentando tutti dietro un unico modello assoluto: l’espressione suprema di un capitalismo sadico e totalitario che mira ad espandere il proprio dominio su tutto ciò che terrenamente vuol presentarsi come autonomo e sovrano.
Nella nuova dottrina economica universale, il taglio della spesa pubblica e l’aumento della tassazione, è la ricetta necessaria per esorcizzare i problemi deflazionistici di una nazione affossata da un fantomatico debito pubblico, con il fine di riequilibrare il commercio a lungo termine ridando speranze a cittadini e aziende.
Dinanzi a tali eresie è davvero molto semplice comprendere la falsità e l’ignoranza di coloro che sostengono tali teorie. Non sono le opinioni a smentire il tutto, sono i semplici fatti a farlo.
Come diceva l’economista Paul Samuelson, il fantasma del debito pubblico è “una falsa e irrazionale credenza ideologica affine a una religione superstiziosa che vede nel debito pubblico un nemico, senza, peraltro, portare a prova di ciò alcuna realtà di scienza contabile”. In primo luogo, quindi, bisogna sfatare il mito che vede il debito pubblico come il male assoluto da combattere. Un mito che i vari sostenitori del neoliberismo odierno sbandierano a gran voce, documentando di non conoscere (o di fingere di non conoscere) la differenza tra debito pubblico sovrano e debito pubblico all’interno dell’eurozona con banche private.
Partiamo dall’idea che una nazione realmente sovrana non deve mai ripagare alcun debito, visto che il cosiddetto “debito” non è nient’altro che un credito che lo Stato emette dal nulla nei confronti di cittadini-aziende. Ciò che con la lira chiamavamo “debito pubblico” non era nient’altro che numeri aggiunti all’interno di un computer. Numeri, non soldi veri.
Dinanzi a ciò, molti potrebbero giustamente domandarsi “allora quando avevamo la lira, la tassazione a cosa serviva?” La risposta si riduce al fatto che la tassazione in un’economia sovrana non è mai servita a ripagare alcun debito né a finanziare alcuna spesa pubblica; ma serviva semplicemente a controllare il pericolo inflattivo, imporre l’utilizzo di quella valuta e controllare i grandi capitali.
Il Giappone è un esempio di come un debito pubblico sovrano non sia mai stato un problema né un debito vero e proprio che i cittadini dovranno ripagare. Infatti il Giappone nonostante abbia un debito pubblico del 236% sul PIL (il doppio del nostro) e un deficit/PIL al 10%, si ritrova con un tasso inflattivo pari a zero e un tasso di disoccupazione al 4,5%. Non sorprende che dinanzi a questi numeri il Governo di Shinzo Abe già nei 2013 abbia dato il via ad un nuovo capitolo di politiche espansive, con interventi di spesa pubblica pari a 85 miliardi di euro. Molti dinanzi a questi numeri potrebbero scandalizzarsi e pensare il peggio a breve termine, ma ciò che i falsi profeti dell’inflazione e del libero mercato ignorano (o fingono di ignorare) è che il mastodontico debito pubblico giapponese è detenuto dai nipponici stessi. Quindi, a differenza del nostro debito pubblico – che i nostri politici hanno ceduto volentieri a stranieri i quali l’hanno spartito tra banche, assicurazioni e fondi comuni – .il loro debito pubblico è un debito pubblico sovrano. Soldi che non devono ridare a nessuno, ma ricchezza prodotta al netto all’interno del circuito di cittadini-aziende. Ecco perché dinanzi a cifre simili possono permettersi addirittura piani di espansione di spesa pubblica senza porsi alcun tipo di problema. Perché sanno che il debito pubblico non è mai un problema, nel momento in cui questo è sovrano e controllato mediante la tassazione.
Curioso anche il fatto che l’unico periodo di crisi che si è verificato recentemente nella storia economica del Giappone, si è verificato quando invece di abbracciare politiche di espansione, ha scelto di abbracciare politiche di restrizione aumentando l’IVA e riducendo della spesa pubblica. Risultato? Uno dei più drammatici cali di vendite nel commercio interno.
Un altro esempio di come il debito pubblico non sia la causa della crisi economica italiana, risiede in paesi come Irlanda e Spagna. Se davvero la causa della crisi economica italiana è dovuta all’aumento del debito pubblico accumulato nel corso degli anni ’80 e ’90 (come i vari filo-europeisti vanno sbandierano nei vari talk show), come mai nazioni come Irlanda e Spagna nonostante siano entrate nell’euro con una percentuale di spesa pubblica tra le più basse in Europa (51% di debito sul PIL. Tradotto: paradiso neoliberale per i filo-europeisti dell’eurozona) si ritrovano anch’esse disastrate dalla crisi economica?
E come mai agenzie di rating come Standard & Poor’s – che oggi nell’eurozona ci bastonano nonostante un “virtuosissimo” 2,2% di tasso inflattivo e una drastica restrizione della spesa pubblica – a metà degli anni ’90, con la Lira, ci considerava una delle economie più sane e prolifere dell’UE nonostante un debito pubblico sul PIL del 124% e una media di tasso inflattivo del 5,8%?
Ciò dimostra, come diceva l’economista Paul Samuelson, che il debito pubblico è semplicemente una credenza ideologica. Una credenza che viene utilizzata per far del terrorismo psicologico su una popolazione inerte, facendogli assorbire l’ idea – falsa – di essere in debito nei confronti di qualcosa o qualcuno. Una truffa economica di proporzioni storiche dove un fantomatico debito pubblico sovrano è stato mutato in un debito pubblico vero e proprio con banche private per imporre i cittadini ad accettare i loro diktat economici e politici, irregimentando tutti dietro un unico modello assoluto: l’espressione suprema di un capitalismo sadico e totalitario che mira ad espandere il proprio dominio su tutto ciò che terrenamente vuol presentarsi come autonomo e sovrano.
Maserati Gabriele
Paul Anthony Samuelson (per gli Stakeholders: ‘Mago Merlino’) nato a Gary, il 15 Maggio 1915 e morto a Belmont, il 13 Dicembre 2009. E’ stato sicuramente il più grande economista del XX° Secolo. Statunitense, vincitore della John Bates Clark Medal nel 1947 e del premio Nobel per l’economia nel 1970, «per l’opera scientifica attraverso la quale ha sviluppato la teoria economica statica e dinamica, e contribuito attivamente ad aumentare il livello dell’analisi nella scienza economica».