11 luglio – Sul Telegraph Ambrose Evans-Pritchard commenta l’elezione del Presidente Juncker: il metodo con cui è stato imposto vìola i Trattati e rende evidente la necessità per la Gran Bretagna, ma ancor più per la Francia e l’Italia, di uscire dalla UE e salvare la propria sovranità (e non morire di deflazione da debito)
[dividers style=”5″]
Una cricca di falchi integralisti a Strasburgo ha imposto a forza il Presidente Juncker
[dividers style=”5″]
I parlamenti sovrani d’Europa sono vittime di un gioco di prestigio costituzionale, anche se alcuni sono più sottomessi rispetto ad altri. Il metodo degno di Oliver Cromwell che Jean-Claude Juncker ha imposto agli Stati è una violazione dei trattati.
L’episodio chiarisce la necessità per la Gran Bretagna di ritirarsi dall’Unione, così come per la Francia o per qualsiasi altro paese che voglia rimanere autonomo sotto uno stato di diritto.
Il trattato di Lisbona non ha creato uno stato europeo, in qualsivoglia forma. La Francia e la Gran Bretagna hanno combattuto ferocemente per impedire che questo accadesse, quando il testo è stato redatto nella sua forma originale come Costituzione Europea. Esse hanno insistito che l’UE rimanesse una organizzazione “intergovernativa”, ed hanno fatto bene. Agire diversamente avrebbe significato svuotare le democrazie nazionali senza sostituirle con qualcosa di funzionante.
La spinta della Germania per uno stato federale – idealistica e pericolosa in egual misura – è stata sconfitta. La coppia formata da Valery Giscard d’Estaing e Lord Kerr ha sventato la minaccia.
Il trattato che è venuto fuori non ha dato al Parlamento europeo il potere di scegliere il presidente della Commissione. La prerogativa rimane ai leader eletti dell’UE, responsabili verso i loro elettori, una salvaguardia che assicura l’autorità agli Stati sovrani.
Gli eurodeputati hanno il diritto di sfiduciare la Commissione. Non possono nominarla. Eppure è esattamente quello che hanno fatto. Una cricca di falchi integralisti a Strasburgo ha imposto a forza il Presidente Juncker sulla base di una serie di argomentazioni fallaci. Gli spauriti leader dell’UE hanno accettato il fatto compiuto, o per ottenere concessioni o per ingraziarsi il favore di Berlino.
Questo gruppo di parlamentari superstiti nasconde la caccia alle poltrone e la brama di potere dietro alla bandiera della democrazia, affermando che il gruppo di centro-destra (PPE) ha l’autorità per imporre la sua scelta perché ha “vinto” le elezioni europee.
E invece il terremoto elettorale di maggio è andato in direzione completamente opposta, un urlo primordiale dei popoli europei contro la prepotenza dell’UE e la distruzione di posti di lavoro causata dalla brutale austerità. Il Fronte Nazionale ha vinto in Francia chiedendo l’uscita dall’euro e col rifiuto viscerale del progetto dell’Unione Europea, una svolta vera e propria in un paese che è ancora il cuore pulsante dell’Europa.
Bisogna essere politicamente analfabeti per ritenere saggio o appropriato, in questo momento, affidare la macchina UE a un vecchio insider, uno dei maggiori responsabili delle disgraziate decisioni che hanno portato l’Europa nella sua attuale empasse e un maestro del metodo Monnet. “Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede. Se non c’è nessuna protesta, perché la maggior parte delle persone non capisce cosa stiamo facendo, andiamo avanti passo dopo passo fino a quando siamo oltre il punto di non ritorno”, ha dichiarato tempo fa al “Der Spiegel”.
Juncker è un regalo per Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale, che ora promette come primo atto di protesta di boicottare la ratifica di Strasburgo. “Io non parteciperò alla votazione per il carceriere della prigione: cercherò la fuga dalla prigione,” ha detto.
Juncker è un regalo anche per Beppe Grillo del M5S italiano, che ha definito il Presidente Juncker come il volto di politiche terrificanti – che hanno intrappolato l’Europa in un decennio perduto. “Ovunque passi Juncker in Europa, non cresce più l’erba”, ha detto.
Il PPE ha proporzionalmente perso più consensi di tutti alle elezioni. Quasi nessuno che abbia votato in Grecia per “Nuova Democrazia” si rendeva conto che stava allo stesso tempo scegliendo il signor Juncker come Presidente, incaricato di decidere il loro destino per cinque anni, lo stesso uomo che ha giocato un ruolo importante nel dramma nazionale come capo dell’Eurogruppo. Quanti Irlandesi che hanno votato per Fine Gael del PPE volevano ulteriori passi avanti nell’integrazione dell’UE?
Cerchiamo di essere onesti. Questa parodia è stata imposta dal blocco tedesco di Europarlamentari, sia per aumentare i poteri della propria istituzione sia perché il Presidente Juncker è ritenuto (per ora) il più sicuro curatore dello status quo nell’UE, che serve abbastanza bene gli interessi tedeschi. Juncker è stato sostenuto con uno strano entusiasmo da una stampa tedesca che sembra pensare che questi metodi riusciranno a colmare il “deficit democratico” dell’UE.
Questo status quo è rovinoso per la Francia e per l’Italia, eppure Francois Hollande e Matteo Renzi hanno acconsentito docilmente, lasciando David Cameron a fare una resistenza donchisciottesca contro una decisione che è quasi suicida per l’Unione Europea stessa. Pensano di essersi assicurati un po’ di flessibilità sull’austerità con un compromesso, ma nelle conclusioni del vertice non c’è stato nessun cambiamento sostanziale delle norme UE sul disavanzo. “La minaccia di una maggiore flessibilità nella politica fiscale dell’UE è stata evitata,” ha detto il premier di Hollande Mark Rutte, ammettendo così di aver fatto un buco nell’acqua, prima ancora di essere tornato a casa.
In ogni caso delle forze più grandi sono già al lavoro. La stagnazione permanente dell’economia è già tradotta in legge nell’UE grazie al Fiscal Compact. Ogni paese deve tagliare il proprio debito pubblico in maniera meccanica per vent’anni, finché non raggiunge il rapporto del 60pc del PIL, indipendentemente dalla politica monetaria o dallo stato dell’economia mondiale. Questo sta già incalzando la Francia, che scivola sempre più a fondo in una trappola di deflazione da debito, con una crescita zero che fa impennare la traiettoria del debito, nonostante un pacchetto di austerità dopo l’altro.
Il debito pubblico francese è balzato al 93,6% del PIL nel primo trimestre, dal 91,8% del trimestre precedente. Gilles Carrez, capo della commissione finanze del Parlamento francese, dice che probabilmente entro il prossimo anno la Francia sfonderà il tetto del 100%. Questo significa che il debito dovrà essere tagliato di 40 punti percentuali, ossia di un 2% all’anno, nel bel mezzo di una crisi di disoccupazione.
L’Italia sta anche peggio, con debito che si avvita sopra il 133%. Il signor Renzi può provare a guadagnare un piccolo margine di manovra per investimenti supplementari, ma a questo punto il compito è troppo arduo per qualsiasi leader politico. La camicia di forza dell’UEM lo obbliga a ottenere un surplus di bilancio primario del 5% del PIL anno dopo anno, sempreché la Banca Centrale Europea riesca a raggiungere il suo obiettivo di inflazione del 2%, cosa che per ora non riesce a fare. Con lo 0,5% attuale, per conformarsi alle regole l’Italia deve ottenere un surplus vicino al 7%.
Ma ciò non è né possibile né auspicabile in un paese con una forza lavoro che si contrae e una demografia alla giapponese. Renzi avrebbe dovuto affrontare il Cancelliere tedesco Angela Merkel quando il suo successo elettorale schiacciante era ancora fresco, chiedendo un blitz di reflazione per cambiare completamente il panorama economico europeo. Ma ha perso la sua chance, il che porta a chiedersi se egli non sia soltanto un chiacchierone, che probabilmente verrà messo a tacere in fretta. Forse era impossibile per lui ottenere di più senza l’aiuto di Hollande, ormai una figura tragica che replica le politiche deflazionistiche di Pierre Laval nel 1935.
Per Francia e Italia, gli orrori della trappola della deflazione da debito possono restare dissimulati finché regge il ciclo di liquidità globale, se la Cina va avanti ancora con gli stimoli e il capo della Fed, la Yellen, si preoccupa di creare posti di lavoro al di sopra di tutto. Ma una volta che il ciclo cambia, Renzi e Hollande malediranno il giorno in cui hanno accettato di venire a patti con la Merkel a Bruxelles.
Si è detto molto sulla diplomazia da scontro aperto di Mr Cameron. Ma che dire della diplomazia della Germania? Angela Merkel ha allegramente perseguito i suoi interessi con effetti venefici sulla psicologia politica della Gran Bretagna, facendo salire il consenso per un’uscita della Gran Bretagna dalla UE fino a un record del 47,39%, nell’ultimo sondaggio di MoS, a quanto pare per placare la stampa tedesca e gli euro-burocrati del suo stesso partito.
Berlino ora si sta preoccupando di limitare i danni. Il vice-Cancelliere Sigmar Gabriel ha detto che l’uscita britannica significherebbe la disintegrazione del progetto europeo. “Non dobbiamo sottovalutare l’impatto sugli Stati Anglosassoni e sui mercati finanziari. L’Europa sembrerebbe lacerata e indebolita agli occhi del mondo. Già viene considerata un continente in declino” ha detto.
Il ministro delle finanze Wolfgang Schauble ha detto che l’uscita britannica sarebbe “assolutamente inaccettabile”, promettendo di fare tutto il possibile per mantenere la Gran Bretagna nel sistema. In effetti è così. Un’uscita britannica sconvolgerebbe la chimica interna dell’Unione Europea, rischiando una reazione a catena. Il centro di gravità si sposterebbe verso il sud e verso le regioni più povere dell’Est, lasciando la Germania con un’egemonia insostenibile, privata di un alleato chiave a favore del libero scambio e delle riforma del mercato.
Come le cose si evolveranno nei prossimi tre anni dipende dal fatto se l’economia della Gran Bretagna continuerà a crescere più dell’Eurozona del 2% all’anno. Il Regno Unito ha la popolazione che cresce più velocemente nell’UE, con un aumento di 400.000 persone all’anno, in un momento in cui la Germania sta già entrando in una crisi demografica. Naturalmente è un boom fragile – costruito sui disavanzi commerciali – ma se dura, il panorama politico sarà irriconoscibile quando si voterà per l’uscita nel 2017.
Mentre la scorsa settimana in vacanza leggevo la biografia di Pitt il giovane scritta da William Hague, mi ha colpito il punto di vista europeo riguardo la Gran Bretagna nel 1780, dopo che aveva perso le colonie Americane. Giuseppe II D’Austria emise la classica sentenza, presumendo che il paese sarebbe “completamente crollato e per sempre, disceso al rango di una potenza di secondo ordine, come la Svezia o la Danimarca.” Non sarebbe passato molto prima che Vienna implorasse sovvenzioni, e l’ubriacone Pitt divenisse l’arbitro dell’Europa. Tale era la forza della crescita economica integrata.
Ora Mr Hague (segretario di Stato per gli affari Esteri, ndVdE) si trova nella strana posizione di interpretare il ruolo diplomatico che descrive così bene nel suo libro. Forse lui potrebbe dirci che cosa avrebbe fatto Pitt a proposito di Mr Juncker.