La madre di Niki Aprile Gatti: “Mio figlio è morto e io ho paura”
6 luglio – “Potrebbero avere riflessi anche nella nostra Repubblica le indagini relative all’uccisione del cassiere di Gennaro Mokbel” così arriva fino a San Marino la notizia dell’omicidio di Silvio Fanella, condannato a 9 anni nel processo per riciclaggio internazionale che ha visto coinvolti alcuni ex dirigenti di Telecom Italia Sparkle e Fastweb.
Fondi neri e scandali nel settore telefonico, proprio come nell’inchiesta Premium sui numeri a pagamento 899 e 892, in cui erano state incriminate diverse società residenti a San Marino: Orange, AT&T e TMS, e la Oscorp SpA, per cui lavorava Niki Aprile Gatti, giovane informatico di 26 anni, trovato morto nel carcere di massima sicurezza di Firenze, appena quattro giorni dopo il suo arresto.
QUATTRO GIORNI DI FOLLIA – Ipotesi di reato per Niki frode informatica, detenzione per custodia cautelare a Sollicciano in massima sicurezza. Tante le stranezze sulla morte di Niki che, come ci racconta sua madre, sono cominciate sin dal suo arresto, avvenuto il 19 giugno 2008. Quello il primo dei “quattro giorni di follia”.
“IN BARBA ALLE PROCEDURE” – “Mio figlio era incensurato ed è stato subito portato in un carcere di massima sicurezza, in barba al protocollo d’ingresso” spiega Ornella e ha ragione: la procedura prevede che gli incensurati, trattenuti per custodia cautelare possano avere rapporti agevolati con la famiglia. Invece Niki viene subito portato a Sollicciano e non gli viene fatta fare neppure la consueta telefonata alla famiglia: “Possibile che un incensurato in custodia cautelare venga messo in cella con due persone ad alta sorveglianza?” si chiede la donna, che di cose che non tornano sulla morte di suo figlio ne ha viste molte.
NOTIZIE FRAMMENTARIE E POCO CHIARE – “Quando mi hanno detto che Niki era stato arrestato ancora non si capiva che reato gli venisse imputato e per trovare il numero dell’avvocato aziendale che si sarebbe occupato del caso ho fatto fatica. Lui mi dice che Niki è nel carcere di Rimini, ma solo dopo scopriremo che lui lì non ci ha mai messo piede visto che lo hanno portato direttamente in massima sicurezza a Firenze”.
E’ lo stesso avvocato che spiega a Ornella che presto perderà il caso: “Mi dice che stanno cercando di cambiare avvocato. Poco dopo scopriremo che è lo stesso Niki che decide di nominare un avvocato nuovo, dopo che gli viene recapitato in massima sicurezza un telegramma con stesso mittente e destinatario: è stato inviato da casa di Niki a San Marino e arriva a Niki in carcere. Ma come è possibile?”.
NIKI DECIDE DI COLLABORARE – Sul caso Niki è l’unico di 19 arrestati che decide di collaborare con i giudici e di non avvallersi della facoltà di non rispondere. L’interrogatorio avviene il 23 giugno al Tribunale di Firenze e Ornella c’è ma non può entrare, vede Niki che viene riportato in carcere ma non la lasciano avvicinare: “Gli avevo portato dei panni puliti e volevo rassicurarlo. Gli agenti di custodia mi hanno allontanata, manco fosse un mafioso. Sono riuscita a parlare con la nuova avvocatessa che aveva il caso. Lei mi confermò che per vedere o parlare con mio figlio avrei dovuto avviare un lunga procedure burocratica. Così decido di tornare a casa, ad Avezzano, per reperire tutti i documenti che mi servono”.
LA NOTIZIA DELLA MORTE – Così il 24 giugno Ornella e di nuovo a casa e la mattina sta già avviando le procedure: “Ero appena tornata dalla posta perché avevo fatto un vaglia per dire a Niki che lo avevo visto fuori dal tribunale e che gli ero vicina. Mi squilla il cellulare, mi dicono che è il carcere di Solliciano. Penso che mi confermeranno l’arrivo del vaglia e invece una voce metallica mi dice ‘suo figlio si è suicidato’. Stacco il telefono, non ci credo. Arriva mia sorella e richiama il numero ma quella voce conferma. Non ci potevo credere”.
L’APPARTAMENTO VUOTO O SVALIGIATO?- La follia non si ferma con la morte di Niki: “Scoprirò poi che non è questo il modo procedurale di comunicare il suicidio alla famiglia. Ho chiesto l’esame tossicologico del corpo di Niki ma non mi è stato concesso. Infine dopo 15 giorni dalla sua morte mio marito è andato in casa sua a San Marino per mettere a posto il suo appartamento. Quando ha aperto la porta non c’era nulla: era stato svaligiato, niente mobili, niente tende, niente computer. Possibile che per un’ipotesi di reato di truffa informatica non si pongano i sigilli ai computer? Possibile che di 19 indagati l’unico che vuole collaborare con i magistrati è mio figlio e non viene tutelato?”.
“CONOSCEVO MIO FIGLIO” – Niki era alto, pesava 90 chili e con sua madre aveva un bellissimo rapporto: “Era dolce, allegro, socievole e io ho sempre accettato le sue scelte. Avrei anche accettato una scelta estrema come quella del suicidio ma conosco mio figlio e sono certa che avrebbe voluto spiegarmi le sue ragioni. In più non era solo: poteva contare su tanti amici e persone che gli volevano bene. Secondo lei non aspettava di uscire? Non quadra nulla. So che non è andata come raccontano e il tempo mi sta dando ragione”.
E che cosa pensa Ornella dell’omicidio avvenuto a Roma di Silvio Fanella?: “Ho avuto paura e ho pensato alla pericolosità di queste persone: telecom, mafia e personaggi di rilievo. Tra questa inchiesta e l’inchiesta premium, quella in cui mio figlio è stato coinvolto, erano stati fatti diversi parallelismi. Quello che mi viene da pensare è che dietro queste due vicende ci siano interessi e personaggi notevoli, la cui rilevanza forse non possiamo immaginarla”.
Ornella poi ci chiede un favore, perché ci spiega che la sua battaglia non è solo per suo figlio e lei quando parla non lo fa solo da madre. La sua è una battaglia per tutti: “Vorrei concludere con le parole di un cantautore americano Phil Ochs: Mostrami la prigione, mostrami il carcere, mostrami il detenuto la cui vita è andata male e io ti mostrerò, ragazzo mio, mille ragioni per cui è solo un caso se al suo posto non ci siamo noi”.
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