18 giugno – Non ci saranno raid aerei americani in Iraq, almeno per ora. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha deciso di non optare per un attacco immediato per contrastare l’avanzata dei ribelli sunniti dell’Isil (o Isis), scegliendo invece un approccio strategico, fornendo l’assistenza dell’intelligence ai militari iracheni, affrontando politicamente le divisioni politiche e cercando il sostegno degli alleati regionali.
Obama vuole evitare gli attacchi aerei perché gli Stati Uniti non hanno al momento sufficienti informazioni per colpire gli obiettivi; inoltre, il nuovo approccio servirà ad affrontare direttamente le cause della rivolta sunnita e della mancanza di unità e professionalità tra le forze militari irachene.
“Quello su cui il presidente è concentrato è una strategia onnicomprensiva, non solo una veloce risposta militare” ha detto un funzionario della Casa Bianca al Wall Street Journal. “Anche se potenzialmente potrebbe esserci una componente militare, si tratta di uno sforzo molto più ampio” ha aggiunto.
Casa Bianca e Pentagono, del resto, condividono lo scetticismo nei confronti dell’efficacia di un’immediata azione aerea e, al contrario, stanno considerando l’invio di forze speciali che aiutino le forze irachene con informazioni d’intelligence e consigli sul campo di battaglia, nella speranza che sia sufficiente per aiutare i militari a lanciare una controffensiva. Al vaglio della Casa Bianca, naturalmente, anche il sostegno dei Paesi dell’area, anche se non sarà semplice ottenerlo, vista la divisione settaria che anima i vicini dell’Iraq.
La strategia da adottare per l’Iraq finisce per coinvolgere anche la Siria, lo Stato confinante dove l’Isil sta combattendo la guerra civile con l’obiettivo di creare nei due Paesi un unico califfato islamico. Ogni decisione, insomma, dovrà essere presa anche considerando le possibili conseguenze in Siria.
Qualsiasi azione militare statunitense, comunque, è legata all’impegno del primo ministro iracheno, Nuri al-Maliki, a creare un governo di unità nazionale, come chiesto anche pubblicamente dal presidente Obama. Maliki, ampiamente sostenuto in questi anni dagli Stati Uniti, è ormai diventato un leader scomodo per Washington, incapace di stabilizzare il Paese e inviso a molti governi dei Paesi vicini. tiscali