di Gianandrea Gaiani
Nella controversa emergenza determinata dal crescente flusso di immigrati clandestini che dalle coste libiche si riversano in Italia, pochi numeri spiegano forse meglio di tante parole l’assurdità dell’operazione Mare Nostrum. Secondo i dati forniti dall’agenzia dell’ Onu per i rifugiati (UNHCR), sono già 52 mila i clandestini giunti in Italia dall’inizio dell’anno, in buona parte raccolti in mare dalle navi da guerra della Marina Militare che il governo continua a impiegare come traghetti improvvisati. Un numero impressionante pari agli arrivi registrati nel 2011 in seguito alla ccosiddetta primavera di Tunisi e alla guerra libica, peraltro destinato a crescere ulteriormente grazie al bel tempo estivo e alla disponibilità di Roma a far oltrepassare i nostri confini a chiunque sia pronto a pagare il pizzo alle mafie nordafricane. Come ha sottolineato ironicamente Germano Dottori, docente di Studi Strategici presso l’Università LuissGuido Cadi di Roma, «la Marina viene impiegata come subcontraente dei trafficanti di esseri umani».
Nell’operazione Mare Nostrum, che impegna in media 5 navi da guerra per un costo mensile vicino ai 10 milioni di euro, la Marina sta impiegando non soltanto vecchie fregate tipo Maestrale e corvette tipo Minerva (destinate alla prossima radiazione), ma anche la fregata multimissione Carlo Bergamini, gioiello tecnologico entrato in servizio nel 2012 e costato al contribuente oltre 500 milioni di euro. Una delle 10 fregate tipo Fremm previste e finanziate con i fondi del ministero dello Sviluppo economico per innalzare lo standard tecnologico della nostra flotta. Con le sue quasi 7mila tonnellate di stazza, la Bergamini imbarca i più moderni sistemi elettronici, missilistici e d’artiglieria ed è stata impegnata insieme alla portaerei Cavour nella missione di promozione del made in Italy effettuata in Medio Oriente e Africa tra il novembre 2013 e l’aprile scorso. La nave, insomma, è una sorta di vetrina dell’hi-tech italiano. Ma viene ora utilizzata come «traghetto», e negli ultimi giorni ha raccolto e trasportato nei porti siciliani un migliaio di clandestini prelevati dai barconi partiti dalle coste nordafricane.
Paradossalmente quasi diventando parte della filiera del business delle traversate: gli scafisti arrivano fino al largo delle coste siciliane, poi ci pensa la Bergamini a portare a termine il lavoro. Certo, la Marina fa quel che può con i mezzi che ha, e per far fronte alla missione è costretta pure suo malgrado a impiegare anche navi a dir poco inadatte per dimensioni e costi di gestione. Ma utilizzare la Bergamini per soccorrere immigrati è conveniente quanto usare una Ferrari per trainare un aratro. A completare il quadro contribuisce poi un altro numero che rappresenta l’incasso dei trafficanti di esseri umani che gestiscono gli imbarchi dei clandestini. Si tratta di cifre solitamente difficili da stabilire con esattezza, ma in un’intervista realizzata dall’agenzia Redattore Sociale un trafficante libico di Zuara ha riferito di incassare intorno ai 200mila dollari a barcone – che, tolti gli 80mila di spese sostenute, consentono all’«uomo d’affari» (come si definisce lui stesso) un guadagno netto (e ovviamente esentasse) di 120 mila dollari a imbarcazione. Se teniamo conto che nella sola giornata di venerdì scorso sono salpati dalla Libia 17 barconi, il conto è fatto.
Foto: Marina Militare
Vignetta: Alberto Scafella