“Il rischio vero è che l’euro sopravviva per altri 5 anni. Sarebbe terribile”

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10 giu –  – Straordinaria intervista ad , international Business Editor del Daily Telegraph, realizzata da Alessandro Bianchi per L’Antidiplomatico.

La stampa italiana sta presentando l’UKIP come un partito di estrema destra, xenofobo, omofobo e antisemita. Il suo leader, Nigel Farage, più o meno come il successore di Hitler. Possibile che il 30% degli inglesi abbiano votato questo pericolo per la plurisecolare democrazia britannica?

Conosco personalmente Nigel Farage da oltre 15 anni. Quando l’Ukip aveva solo tre seggi al Parlamento europeo, cenavamo una volta al mese a Strasburgo e ho avuto modo di approfondire le sue idee e i suoi valori. Non è assolutamente un partito fascista, razzista o xenofobo. E’ una follia affermarlo. Farage ha creato un meccanismo che impedisce l’accesso a tutti coloro che vogliono iscriversi al partito con un passato di questo tipo e che prevede l’espulsione immediata per chi dall’interno si macchia di episodi di razzismo. La strategia e la politica dell’UKIP è di bloccare ogni forma di discriminazione. Non so dall’Italia dove prendano le informazioni a sostegno di queste tesi, ma basta pensare al fatto che Farage ha chiarito come un’alleanza con il Fronte Nazionale sarebbe per lui impensabile, perchè all’interno di questo partito francese ci sono alcuni esponenti con un passato di antisemitismo. Per quel che riguarda la politica interna, l’Ukip costringerà il partito consiervatore di Cameron – che è personalmente pro-Europa rispetto ad un’ala sempre più influente di Tory che la pensa come l’Ukip – a cambiare posizione perché il messaggio a Bruxelles nelle ultime elezioni è stato chiaro: il popolo britannico non tollera più una perdita di sovranità continua.

Nonostante la propaganda della “luce fuori dal tunnel” o “anche la Grecia ha girato l’angolo”, la situazione economica della zona euro resta particolarmente difficile. Qual è la sua opinione sul futuro prossimo dell’area e quali sono i fattori di destabilizzazione più pericolosi?

L’economia italiana si è contratta nel primo trimestre dell’anno e la ripresa, a differenza di quello che avevano annunciato, semplicemente non sta avvenendo. Lo stesso accade in Olanda, in Portogallo e in Spagna. La sola ragione per cui c’è un’apparente crescita in Spagna è il modo in cui viene ora calcolato il Pil. Un’analisi accurata mostra come anche Madrid non sta crescendo e tutti i paesi del sud, in ultima analisi, si stanno contraendo, con la Francia che è in stagnazione. Si tratta di una situazione paradossale se si ragiona in un quadro di ripresa globale ormai consolidata: se a 5 anni dalla crisi Lehman Brothers e con un contesto internazionale migliorato, l’economia dell’area euro non è ancora al sicuro e ha ancora una situazione di disoccupazione di massa drammatica e duratura vuol dire che c’è qualcosa di profondo che non funziona. In Italia, ad esempio, la disoccupazione giovanile è al 46% e questo in una fase di espansione globale. Riflettete su questo: a 5 anni dall’inizio della ripresa globale dopo la crisi Lehman Brothers, la disoccupazione giovanile in Italia è al 46%! E’ il tragico risultato delle scelte perseguite all’interno dell’Unione Europea e nella zona euro. Detto in altri termini è l’inevitabile suicidio di scegliere contemporaneamente politiche fiscali e monetarie restrittive. Questo, perlopiù, in una fase in cui le banche hanno ristretto l’accesso al credito all’economia reale per rispettare i nuovi regolamenti e la contrazione dei prestiti ha portato al fallimento di un numero incredibile di piccole imprese in Italia e in tutta l’Europa del sud. Anche nel Regno Unito abbiamo utilizzato misure di austerità fiscale, ma accompagnate da una grande spinta monetaria e lo stesso è accaduto negli Usa. In Europa si è scelto il suicidio economico di intere nazioni.

E in più c’è un contesto di inflazione molto bassa e deflazione per l’Europa del sud nello sfondo, che in pochi sottolineano a sufficienza. Cosa significa questo per l’Italia e quali scenari dobbiamo ipotizzare?

Per quel che riguarda l’Italia l’errore è proprio quello di considerare solo il Pil reale nelle valutazioni economiche che si compiono: quello che conta per Italia, Spagna, Portogallo è il Pil nominale. Il problema è che in un mondo di bassa inflazione o deflazione, il Pil nominale cala drammaticamente e il peso debitorio esistente diventa semplicemente non sostenibile. E’ un problema drammatico per l’Italia che oggi ha il debito pubblico al 133% del Pil, mentre quello privato è più sostenibile rispetto a Portogallo e Spagna.  La contrazione del Pil nominale italiano è stato di 20 punti lo scorso anno, ma non avrebbe mai dovuto superare i tre-quattro punti. E’ un fallimento politico di proporzioni storiche e non sarebbe mai dovuto accadere. La riduzione del debito pubblico e privato per i paesi del sud diventa semplicemente impossibile in una situazione di deflazione. Ho intervistato recentemente l’ufficiale del Fmi nelle operazioni della Troika in Irlanda e lui mi ha detto che Italia e Spagna per avere un debito sostenibile nel medio periodo hanno bisogno di un tasso d’inflazione della zona euro al 2% per oltre cinque anni consecutivi. E questo è confermato in una serie di paper del FMI che hanno sottolineato come la traiettoria del debito sia fuori controllo in un contesto di bassissima inflazione. Del resto, sono dinamiche molto note nella scienza economica e sono quelle che Irwing Fisher ha descritto nel 1933 quando sosteneva come era la deflazione ad aver causato la Grande Depressione. E’ esattamente quello che sta accadendo oggi: il debito diventa sempre più insostenibile e le bancarotte sono inevitabili. Cosa sta facendo la Bce di fronte a questa situazione drammatica? Di tutto per rendere sempre più difficile per l’Italia uscire dalla crisi. Un tasso di inflazione del 3 o 4% permetterebbe ai paesi del’Europa del sud di colmare il gap in termini di competitività tra Germania ed Italia, Germania e Portogallo, etc… Ma questo non è possibile e i paesi del sud sono costretti ad agire attraverso il taglio dei salari, la cosiddetta svalutazione interna. Dato che la Germania non tollera nessuna inflazione, i paesi del sud sprofondano nella deflazione. E’ inevitabile.

Abbiamo un’espressione in inglese che descrive molto bene la situazione economica paradossale attuale dei paesi del sud: “E’ un danno se lo fai ed è un danno se non lo fai”. Se la periferia della zona euro ha successo nell’adempiere a quanto prescritto da Bruxelles-Berlino-Francoforte crea una situazione di svalutazione interna e per riguadagnare competitività con la Germania si abbatte il Pil nominale, rendendo fuori controllo la traiettoria del debito. Se raggiungi quello che Bruxelles ti sta chiedendo, in poche parole, vai in bancarotta. E’ la conseguenza del “successo”. Se il governo italiano di Berlusconi avesse attuato misure più restrittive tre anni fa o se Letta avesse tagliato ancora di più la spesa pubblica, l’Italia sarebbe in una situazione peggiore, non migliore. E’ una politica suicida. Non so se le autorità monetarie europee si siano mai poste questa domanda: perchè hanno imposto queste politiche ai paesi se il loro successo rende la situazione peggiore di quella precedente? La Bce non rispetta in modo continuativo e con una differenza enorme né il target del 2% di inflazione dell’area, né la quantità di moneta M3 che dovrebbe essere in circolazione. Perchè non rispetta i suoi obiettvi? Esiste una ragione credibile a livello economico sul perché la Bce non vuole raggiungere gli obiettivi di politica monetaria e per un periodo così lungo? No, non c’è.

Le persone non comprendono ancora bene i drammi che la deflazione produce per un paese come l’Italia. Meglio quindi fare un esempio numerico, è un calcolo matematico su cui convergono diversi studi, ad esempio uno molto accurato di Bruegel: l’1% di inflazione in meno per la zona euro significa che l’Italia deve avere un extra surplus di budget di un ulteriore 1,3% solo per ottenere gli stessi obiettivi. E’ un calcolo matematico. Il target è del 2% e quindi un’inflazione prossima allo zero costa all’Italia il 2,6% del Pil per raggiungere lo stesso obiettivo che potrebbe essere raggiunto se solo la Bce rispettasse gli obiettivi imposti dai Trattati. Questa situazione di bassissima inflazione è disastrosa per il futuro economico dell’Italia.

In questo scenario, l’euro è ancora a rischio?

Quando Mario Draghi ha lanciato il programma OMT – Outgriht Monetary Transactions – nell’agosto del 2012 è cambiato tutto. L’euro stava per fallire a luglio, con Italia e Spagna che erano in una grande crisi di finanziamento del proprio debito e la moneta unica era molto vicina al collasso. Angela Merkel stava pensando di espellere la Grecia dalla zona euro e solo quando Berlino ha accettato che ci sarebbero stati troppi pericoli per il contagio di Italia e Spagna, la Merkel ha accettato il piano ideato dal ministero delle finanze tedesco, che si è trasformato poi nel programma OMT. Ho parlato a Londra con un alto dirigente di quel ministero a luglio di quell’anno e mi ha detto che “nulla vola nella zona euro al momento senza il nostro permesso”. Chiaramente la Germania stava controllando la politica della zona euro in ogni singolo aspetto. In quella fase stavano preparando l’OMT e due settimane dopo Draghi ha fatto il famoso discorso del “whatever it takes”. Non è che la Bce ha cambiato la sua strategia, è la Germania che l’ha fatto, terrorizzata da quello che poteva accadere ad Italia e Spagna.

Poche persone hanno compreso bene questo processo: è la Germania che ha cambiato politica, trasformando la Bce in una prestatore di ultima istanza. Da allora la crisi della zona euro è completamente diversa. Da quel momento storico non c’è più il rischio che l’euro possa esplodere per un fallimento bancario. Ma bisogna stare attenti perché la Corte costituzionale tedesca ha stabilito che l’OMT di Draghi rappresenta una violazione dei trattati e potrebbe essere ultra vires. Quindi la domanda è: quel programma può essere attivato in caso di necessità?

Il pericolo sistemico esiste ancora e si può arrivare ad una rottura per ragioni differenti: i paesi del sud vivranno una situazione di depressione economica permanente, che produrrà danni ai settori industriali nevralgici per la vita dei diversi paesi e una situazione politicamente insostenibile nel lungo periodo. Le elezioni di partiti radicali potrebbero quindi forzare il cambiamento e modificare l’intero progetto. Quando in Francia a vincere è un partito che, una volta al potere, vuole – come mi ha confermato Marine Le Pen in un’intervista – ordinare al Tesoro francese di attivarsi per il ritorno immediato al franco, la questione rimane centrale nel dibattito. Come reagiranno ora i gollisti e i conservatori moderati a questo messaggio del popolo francese alle elezioni europee e alla distruzione dell’industria storica francese? Se il Fronte Nazionale dovesse vincere le elezioni, la Francia non rispetterà il Fiscal Comapct e questa ridicola legislazione decisa da Bruxelles. Gli altri partiti non possono più ignorarlo.

Cosa accadrà secondo Lei nella zona euro nei prossimi cinque anni?

Ci sono due possibili vie: i paesi della periferia comprenderanno che la permanenza nella zona euro richiede un numero di sacrifici non più tollerabili e decideranno di uscirne, oppure, ad esempio insieme all’Olanda che è in una situazione similare, prenderanno possesso in modo coordinato delle istituzioni che controllano la politica economica dell’UE, imponendo il cambiamento in linea con le loro esigenze. Sarei molto sorpreso se si realizzasse quest’ultima alternativa, dato che questi paesi non hanno certo il coltello da parte del manico e già in passato Hollande ha fallito nel creare un consenso con i paesi mediterranei. Ma anche se dovessero riuscirci, il rischio della zona euro sarebbe poi l’opposto, vale a dire un’uscita della Germania, che non accetterebbe mai politiche inflazionistiche.

Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti.

L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni. Questa strategia assurda non aiuterà nessuno e la domanda è quanto può durare senza che ci sia una reazione politica? In Francia e in Italia sta prendendo sempre più piede l’idea che per salvare il resto del progetto europeo è necessario pensare ad uno smantellamento coordinato dell’euro. E’ su questo punto che la politica deve iniziare a ragionare in modo costruttivo per evitare future reazioni a catena fuori controllo.

Al momento non è utile fare previsioni sul futuro della zona euro e proverei a ribaltare la  questione: non bisogna più parlare di rischio di rottura della zona euro, ma il vero rischio è che questa possa sopravvivere per altri cinque anni, producendo danni inimmaginabili ai paesi del sud dell’Europa. Il “decennio perso” dell’Europa si concluderebbe poi con uno scenario economico mondiale molto diverso da come era iniziato e l’intero continente vivrebbe totalmente ai margini. Il rischio vero è che l’euro sopravviva ancora. Ed è un rischio terribile per il futuro delle nazioni europee.