27 mag – Due anni e mezzo fa avrebbe dovuto salvare l’Italia. Forse, l’Europa. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo nominò senatore a vita in fretta e furia – con tutto quello che ne consegue – e gli affidò le chiavi del paese. Per diciassette mesi, tanto durò l’esperienza a Palazzo Chigi, seguì l’Europa più che spingerla. Puntò sul rigore più che sulla crescita. Provò a cambiare qualcosa più che a farlo davvero. Tutti peccati che, evidentemente, gli italiani non gli hanno perdonato.
Tanto da condannarlo alla peggiore delle punizioni per un politico: l’oblio. Le urne hanno emesso la sentenza, dolorosa, tragica: Mario Monti, ei fu “mister salva Italia”, è morto.
Di lui, del suo Scelta europea, resta uno 0,7% alle elezioni del venticinque maggio. Poco più che un ologramma: poco meno di duecentomila voti. Non è bastato un ministro, Stefania Giannini all’Istruzione, per fare il miracolo. Il 4% tanto sognato non è stato neanche avvicinato, sfiorato.
A ben guardare, però, del professor Monti resta qualche altra traccia. Nel febbraio 2013, ultime politiche, il blocco di liste a sostegno di Scelta civica arrivò a un dignitoso 10,5%. Che in poltrone significa: ventisette deputati, otto senatori, un ministro appunto, un viceministro e tre sottosegretari. Più, ciliegina sulla torta, il vitalizio da senatore a vita. Niente male per un “morto”.
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