Sul Guardian un quadro generale molto chiaro della crisi fa comprendere che l’euro è già fallito, e perciò lasciare in carica i partiti mainstream sarebbe un errore di proporzioni storiche e condannerebbe l’Europa a un periodo di stagnazione economica ancora più lungo.
23 magg – Larry Elliot – Questa settimana l’Europa va alle urne, e l’umore è nero. E’ nero tra gli elettori ed è nero nei mercati, dove alla fine della scorsa settimana i timori che i risultati delle elezioni avrebbero aperto un nuovo capitolo nella crisi dell’eurozona hanno portato a un sell-off.
E la cosa sembra fin troppo probabile. Nonostante tutti i discorsi ottimisti degli ultimi mesi, i problemi della zona euro non sono scomparsi. I membri più deboli della moneta unica, come la Grecia, la Spagna e l’Italia, per un po’ sono riusciti a vendere le loro obbligazioni a tassi di interesse più bassi. Ma questo è stato in gran parte dovuto alla generosità della Federal Reserve, che ha inondato di dollari l’economia globale tramite il suo programma di quantitative easing.
L’iniezione di QE è stata una manna dal cielo per la zona euro, che finora – ma forse non per molto tempo ancora – ha rifiutato l’idea di accendere le stampanti. Il dollaro passando attraverso il sistema finanziario globale è giunto nei mercati obbligazionari europei, e questo ha permesso a Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea (BCE), di dire che avrebbe fatto “qualsiasi cosa” per salvare l’euro, senza la necessità di far seguire alle parole i fatti.
Questa nuova versione del piano Marshall del dopoguerra ha fatto guadagnare tempo alla zona euro. Quel che non ha fatto, però, è stato di cambiare il principale problema economico dei paesi periferici deboli della zona euro. Essi non stanno crescendo abbastanza velocemente per evitare che i loro debiti diventino sempre più onerosi. L’austerità generalizzata ha fatto peggiorare le cose, come anche la mancanza di una sufficiente azione compensativa da parte della BCE.
La disoccupazione è alta e gli elettori sono malati di austerità. Sarebbe però un errore pensare che molto, o anche qualcosa, cambierà a seguito delle elezioni per il Parlamento europeo. Ci sarà un gran parlare di come l’Europa deve soddisfare i bisogni del suo popolo, e che sarà così. I partiti mainstream con il loro pensiero dominante saranno ancora in carica e la vita andrà avanti come prima.
Come risultato, l’Europa si condannerà a un periodo anche più lungo di stagnazione economica, disoccupazione di massa e austerità. Fiorirà l’estremismo.
Esiste un’alternativa a questo scenario deprimente. Ammettere che adottare l’euro come un modo per promuovere la causa di un’unione sempre più stretta è stato un errore di proporzioni storiche. Se si accetta questo, sarà possibile evitare che l’Europa diventi il nuovo Giappone.
Potrebbe accadere una di queste due cose. L’euro potrebbe essere radicalmente riformato secondo le linee proposte da Charles Grant, direttore del Centre for European Reform. Ciò comporterebbe di ridurre velocemente l’austerità, creare un’unione bancaria, fare le riforme strutturali in paesi come l’Italia per renderli più competitivi, e riconvertire l’ economia tedesca per renderla meno concentrata sull’export, oltre a una risrutturazione parziale del debito per i membri dell’eurozona più pesantemente indebitati.
L’ alternativa è quella di rompere il vincolo della moneta unica, restituire il potere alle singole nazioni o gruppi di Stati con economie convergenti, e ricominciare.
Questo non accadrà, almeno non ancora. L’euro simboleggia l’unione sempre più stretta sognata dai fondatori dell’Europa negli anni ’50. La Germania è la più forte economia dell’Europa e il suo ufficiale pagatore, per cui l’euro viene gestito secondo le direttive tedesche.
A quanto sostiene l’economista Roger Bootle nel suo nuovo libro, The Trouble with Europe : “L’euro è stato un disastro economico, imposto all’Europa per ragioni politiche. Ironia della sorte, si pensava che nonostante i suoi costi economici, alla fine avrebbe portato l’Europa a unirsi politicamente. Ciò può ancora accadere, ma potrebbe anche rivelarsi ciò che spinge l’Europa a dividersi. Dal punto in cui mi trovo, la seconda sembra più probabile.”
Bootle ha proprio ragione. L’euro infatti è stato proprio il disastro economico che alcuni prevedevano si sarebbe verificato quando è stato creato, alla fine degli anni ’90 . A quel tempo ci sono stati dei segnali che la moneta unica avrebbe potuto rivelarsi una macchina che distrugge il lavoro. Ci sono stati anche degli avvertimenti che molti dei paesi riuniti insieme non erano pronti per un’unica politica monetaria valida per tutti.
Sembrava lampante che, in assenza di mobilità del lavoro e redistribuzioni su larga scala, i paesi, privati del potere di condurre la propria politica monetaria, avrebbero dovuto ricorrere all’austerità se fossero diventati non più competitivi. Tutto questo è rimasto inascoltato. Si prevedeva molto fiduciosamente che l’euro avrebbe reso l’Europa più prospera e così facendo avrebbe creato le condizioni per un’unione sempre più stretta.
La realtà è stata una crescita lenta, alti tassi di disoccupazione, riforme strutturali pasticciate, deriva e crescente malcontento. I problemi sono sorti non solo nella periferia, ma anche al centro, dove dalla creazione della moneta unica la situazione è decisamente peggiorata.
Quel che è successo, in breve, è questo. L’euro ha significato un tasso di interesse unico e un tasso di cambio unico. Il tasso di interesse era troppo basso per alcuni paesi, come l’Irlanda e la Spagna, che erano in rapida crescita. Era troppo alto per paesi come la Germania e la Francia, che crescevano meno rapidamente. In periferia, bassi tassi di interesse incoraggiavano la speculazione immobiliare e hanno portato alle condizioni per un’inflazione superiore a quella del centro.
Prima della creazione dell’euro, questi paesi avrebbero lasciato deprezzare le loro monete per compensare. Ora questo era impossibile, così questi paesi sono diventati meno competitivi in un momento in cui la Germania era impegnata a rendersi più competitiva. Per un decennio, i lavoratori tedeschi hanno avuto aumenti salariali al di sotto del livello di inflazione per vendere le loro merci a prezzi bassi nei mercati europei. Questo è stato un grande successo, fino a un certo punto. Il surplus commerciale della Germania è aumentato, ma il rovescio della medaglia è che i deficit commerciali in paesi come la Spagna, la Grecia e l’Italia sono peggiorati.
Negli anni precedenti la crisi, il sistema continuava ad andare perché la Germania esportava capitali verso i paesi della periferia per consentire loro di acquistare merci tedesche. Poi è arrivata la crisi. La Germania ha insistito che se i paesi erano in difficoltà, era perché avevano vissuto oltre le proprie possibilità. Un po’ eccessivo, dato che la Germania era stata complice nel permettere loro di farlo.
Berlino ha detto che avrebbe aiutato i paesi in difficoltà, ma solo alle sue condizioni, secondo le quali tutti i paesi dovevano replicare la Germania, comprimendo la domanda interna e promuovendo le esportazioni rendendole più competitive. Questo era chiaramente un’impossibilità logica perché il surplus di un paese è il deficit di un altro paese. I paesi non potevano diventare più competitivi attraverso la svalutazione, così hanno dovuto farlo tramite l’austerità, tagliando i salari e la spesa pubblica in modo aggressivo. Su insistenza della Germania, per le banche non c’è stata nessuna austerità.
I leader europei considerano l’euro troppo grande per fallire. Si sbagliano. E’ già fallito. E’ fallito perché non riesce a dare la prosperità economica promessa e non riesce a portare l’Europa a unirsi politicamente. L’euro è come il gold standard, ma peggio, è per questo che sarebbe un errore di proporzioni storiche ignorare le elezioni di questa settimana. Sappiamo come finisce questo film ….