16 apr – Non è un mistero che l’ex viceministro dell’Economia Stefano Fassina sia particolarmente critico con Matteo Renzi e quindi con il Def, il Documento di Economia e Finanza, del quale in particolare disapprova il piano dei tagli ritenendolo effimero perché rientra nel solito gioco che da una parte dà e dall’altra toglie. E c’è anche da dire che Fassina non è l’unico a trovare difetti e carenze sul fronte delle coperture strutturali in questo documento che difatti proprio oggi viene bocciato da Bankitalia, dall’Istat e dalla Corte Conti.
Che valutazione dà al Def? “Ci sono due strade. La prima, che bisogna trovare il modo per allentare le regole europee. Con questo non intendo per renderle meno severe in termini di controllo della finanza pubblica. Rimaniamo convinti che la stabilità della finanza pubblica sia centrale per la crescita dell’Italia, però vanno rese più coerenti con le esigenze che un paese ha di crescere e di aumentare l’occupazione. Con queste regole si impone ai singoli paesi sostanzialmente di scegliere fra un aumento della disoccupazione ed un risanamento della finanza pubblica. Questa è una contraddizione che non può reggere e nessun paese è in grado di portarla avanti, quindi va in qualche modo risolta. Per quanto riguarda le soluzioni indicate dal Def, lì è stata fatta una scelta non necessariamente condivisibile che è quella di ridurre la pressione fiscale a fronte della riduzione della spesa pubblica. Dietro a questo c’è, ci dovrà essere, un disegno di ridimensionamento del settore pubblico nell’economia che può essere discusso perchè si può essere d’accordo o meno, però l’importante è che venga specificato ed a quel punto sarà possibile decidere se ridimensionarlo o non ridimensionarlo, oppure ridimensionatlo di un tot piuttosto che di una cifra diversa. Questo è un passaggio che va ancora esplicitato e che invece sarebbe stato utile già renderlo chiaro all’opinione pubblica”.
Nel Def inoltre si è dimenticata del tutto la ricerca. “Sì questo è vero e questo è anche un po’ colpa di come sono impostati gli schemi europei: questo rimanere nelle riforme strutturali entro le quali rientra più o meno tutto, fa perdere di vista quello che è l’obiettivo principale delle politiche economiche che dovrebbe essere l’aumento della produttività, il sostegno all’innovazione, la ricerca, eccetera, solo che queste parole non sempre è facile farle entrare nel credo delle riforme strutturali e questa è la ragione per cui la ricerca è stata dimenticata, però è anche vero che sarebbe stata preferibile un’indicazione molto più netta in termini di produttività. Nella nostra valutazione è un po’ che pensiamo che gli obiettivi di politica economica dovrebbero essere espressi non in termini di crescita del Pil ma di crescita della produttività”.
C’è un punto in particolare che disapprova di questo documento? “Un punto c’è perché ritengo che la strada giusta sia quella di puntare sugli investimenti interni e su una politica anticiclica, cioè esattamente l’opposto di quello fa questo Def”.
Condivide il modo in cui viene affrontato il problema lavoro da Renzi? “Non approvo l’intervento di Renzi sul lavoro perché corrisponde a quella visione di politica eoconomica per cui serve maggiore precarietà per ridurre le retribuzioni e per cercare la competività di costo per le esportazioni, mentre abbiamo visto che è una ricetta fallimentare, Inoltre non approvo il piano dei tagli che ritengo effimero perché rientra nel solito gioco che da una parte dà e dall’altra toglie.”.
Quanto si sente di condividere questo documento? “Ovviamente un documento come il Def non può accontentare tutti e aggiungo che c’è una forte scommessa in questo Def, anzi un azzardo, e non è detto che l’azzardo non riesca, dal momento che è stata rimossa la palude, anche se le acque, quando si muovono, si intorbidano ma poi bisogna vedere se in seguito torneranno limpide. E’ importante però che si stia facendo quel che finora non si è fatto negli ultimi anni e lo dimostra la maggiore fiducia che c’è da parte dei mercati anche se sappiamo bene che la fiducia oggi c’è ma domani potrebbe anche non esserci più”.
Si riuscirà ad attutire il duro colpo del Fiscal Compact? “Col Fiscal Compact è necessario chiedere qualche margine di flessibilità altrimenti, con questa crescita così bassa, non riusciamo a rispettarlo. Io, su questo, penso che il tentativo fatto da questo Def sia abbastanza importante, nel senso che si chiede esplicitamente al Parlamento di essere autorizzati a derogare da questo percorso e con questa delega si può andare in Europa a contrattare. E’ anche evidente che in Europa, per quelli che sono gli schemi, si deve chiedere una deroga quest’anno per promettere un risanamento ancora maggiore quest’altro anno. E’ vero anche che la speranza nel frattempo è che si riesca ad agganciare un ciclo un pochino migliore e che si riesca a guadagnare tempo, cosa molto importante in questo momento”.
Secondo lei, saremo noi a subire maggiormente le pesanti conseguenze del Fiscal Compact o sarà un problema più o meno comune agli altri paesi europei? “Ritengo che non verrà soddisfatto da quasi nessuno dei paesi europei perché siamo in uno scenario di quasi deflazione per cui mi sembra che stiamo parlando di un libro dei sogni, ma è più esatto dire un libro degli incubi, perchè in questo momento non ci sono le condizioni minimali che diano la possibilità di rilevare”. OPI